Moving on: ‘nouvelle vague’ coreana

Il lungometraggio d'esordio della coreana Yoon Dan-bi passa a Torino dopo Busan e Rotterdam


La coreana Yoon Dan-bi è al suo primo lungometraggio, dopo il corto Fireworks, proiettato nel 2015 al Daegu Independent Short Film Festival e due anni dopo al Korea Youth Film Festival

Moving On, che passa a Torino, è stato presentato in anteprima mondiale al Festival di Busan, dove ha vinto quattro premi, e poi si è visto a Rotterdam. Si tratta di uno spaccato di vita familiare intenso, che parte da una situazione tutto sommato semplice e in cui tutti possono venirsi a trovare: il trasloco in un altro luogo, come spesso avviene durante l’infanzia, non scelto ma imposto da condizione esterne come il lavoro o le condizioni economiche dei genitori.

Durante le vacanze estive, Okju e Donju si trasferiscono nella casa del nonno dopo il collasso finanziario del padre. Il giovane Donju si adatta immediatamente, mentre Okju prova un forte disagio. L’arrivo della sorella del padre, prossima al divorzio, cambia per fortuna le cose, e anche Okju comincia ad apprezzare la nuova vita in famiglia. Tre generazioni diverse costrette sotto lo stesso tetto dalle circostanze. Tuttavia, quando il nonno si ammala, zia e padre decidono di mandare l’uomo in una casa di cura e mettere in vendita la casa.

“Un giorno, di ritorno dalla scuola – dice la regista – un nostro amico cominciò a raccontarci una storia sulla sua famiglia. Poco dopo anche altri si unirono alla conversazione e finimmo per condividere problemi che ciascuno aveva con i propri familiari. Ascoltando i loro racconti, provavo un senso di sollievo che confermava l’assoluta normalità delle mie problematiche familiari. Purtroppo, però, allora non ho condiviso la mia storia. Per questo motivo ora ho deciso di realizzare questo film: come risposta alla domanda di quel pomeriggio, rimasta così a lungo in sospeso”.

Inevitabile il paragone con i connazionali o con altri film e registi asiatici. “Ci sono tanti film asiatici che vengono paragonati tra loro perché girati in casa – dice l’autrice – abbiamo rispecchiato il sentimento delle persone di famiglia attraverso l’ambiente. Ho conosciuto chi lavorava per gli interior di Hirozaku Kore’eda e piuttosto che creare ambienti artificiali preferiva usare ambienti già esistenti. Ad ogni modo mi sono ispirata a lui per il posizionamento delle persone nelle inquadrature. Ma ho concentrato i sentimenti sul personaggio che mi era più vicino. La storia è tipicamente coreana, ma non ho seguito il classico modo di raccontare del nostro cinema. Di solito si raccontano le storie da fuori, io ho cercato di stare all’interno. E’ come una nouvelle vague, mi dicono che il film è coreano ma somiglia anche al cinema francese, e questo mi fa piacere perché vorrei che fosse recepito a livello internazionale. Rispetto a Parasite, invece, questo film non racconta la società, ma solo una cosa piccola. Una casa e la famiglia. Nient’altro. In Parasite si parte tranquillamente, poi succede di tutto. In entrambi c’è una casa, e in entrambi i film la casa è centrale per raccontare la storia, ma sono due pellicole molto diverse tra loro”.

Il modo di lavorare? Semplice e schietto. “Il regista deve dare fiducia a tutto lo staff e a tutti gli attori. Non deve essere prepotente o sentirsi più forte. Lui dà l’ok, e chi lavora con lui deve essere sicuro e a suo agio, soprattutto i bambini. Ho raccontato molto loro di me stessa per poter raggiungere la loro sensibilità. Non gli dicevo di comportarsi in un modo specifico, ma di comunicargli delle emozioni”, dice Dan-bi.

“Ci sono due fasi nella storia  – continua – La prima con la famiglia raccolta attorno al nonno, e poi la morte del nonno. Volevo mostrare come le cose cambiano, ma anche mostrare che la sua morte risolve anche dei problemi. Questa è la vita. E’ una cosa normale e naturale. Il nonno diventa come un tunnel che attraversa la memoria e ricordi di tutta la vita, con momenti felici”.

 

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23 Novembre 2020

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