In Acciaio di Stefano Mordini, passato alla Mostra di Venezia e dal 15 novembre in sala distribuito da Bolero in 50 copie, ci sono una classe operaia che arranca e giovani senza futuro.
”Alessio (Michele Riondino) e i suoi compagni sono i nuovi operai – puntualizza il regista all’AdnKronos – lontani mille miglia dalla mitologia della classe operaia anni ’50 e ’60. I nonni e i padri di questi ragazzi avevano un sogno, ora non è rimasto nemmeno quello. Oggi resta solo la catena di produzione dell’acciaio che non si può mai interrompere e finisce così per scandire le loro vite. A questo ritmo ho voluto adattare anche il fluire della vicenda, segnata dai turni di notte come dalla cronica stanchezza e dalle paure di chi fa parte dell’ingranaggio”.
Eppure, nonostante la cupa presenza della fabbrica, Acciaio è anche e soprattutto un racconto di formazione. Anna e Francesca e la loro amicizia esclusiva sono, rispetto all’omonimo romanzo d’esordio di Silvia Avallone, le vere protagoniste. Una scelta operata in perfetta armonia tra Mordini e Avallone, che si dice entusiasta del risultato finale e delle soluzioni scelte: ”Abbiamo seguito da subito una linea narrativa che privilegiasse le due ragazze. Ma la fabbrica resta importante, è il perimetro entro il quale si muovono e aiuta a capire l’amore che le unisce, i rapporti con le famiglie, le prime esperienze sessuali”.
Una ricostruzione dalla quale è esclusa ogni morbosità, ci tiene a sottolineare Mordini: ”L’adolescenza è terreno di esperienze che possono essere fraintese. Ho lavorato per tenere lontana la morbosità, spero di esserci riuscito. Se a volte le due protagoniste appaiono disposte ad andare oltre è perché hanno bisogno d’amore e di sicurezze, ed è questo profondo desiderio che ho voluto raccontare”.
Acciaio è però anche un ritratto della vita lontana dalle metropoli che Mordini aveva già fotografato in Provincia meccanica. ”Vero – ammette Mordini sempre all’AdnKronos – in qualche modo il film è il seguito ideale del mio debutto. E’ il mondo che conosco meglio e quindi amo raccontarlo. Mio padre aveva un’officina, so cosa significa lavorare tutto il giorno e non riuscire a capire che fuori da quelle quattro mura c’è tanto da scoprire. L’impotenza di Anna e Francesca che non riescono a immaginare come sia l’Elba che pure è così vicina alla costa, è la stessa di intere generazioni segnate dalla mancanza di una prospettiva”.
Anche la scrittrice Avallone sottolinea che la distanza tra Piombino e l’Elba “è sia una metafora, sia la mia personale esperienza a Piombino dove non ci è venuto mai in mente di andare al mare all’Elba”.
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