MORANDINI


Il mestiere delle armi D’accordo: c’è Il mestiere di vivere di Cesare Pavese letto almeno da due generazioni. Nessuno, però, ci aveva mai pensato al cinema prima di Ermanno Olmi. Ho fatto una piccola ricerca senza computer: non mi risulta che esista, almeno nel cinema dal 1930 in poi, un film distribuito in Italia il cui titolo cominci con “mestiere”. Nemmeno in francese (“métiEr”), per quel che ne so. Mestiere, sinonimo di attività generalmente manuale, o di lavoro, occupazione, è parola meno nobile di professione. Tant’è vero che i titoli di film che cominciano con ”professione” sono tanti.
E’ una scelta che nel lombardo Olmi non dovrebbe meravigliare. Anche senza mettere in conto i documentari – una ventina – che fece negli anni ’50 per l’Edisonvolta, due su tre tra i suoi film narrativi riguardano direttamente il mondo del lavoro. Può darsi che dimentichi qualcuno, ma da questo punto di vista Olmi è unico, nella sua nicchia, nel panorama di un secolo di cinema italiano.
Il mestiere delle armi A cominciare da Il posto (1961), altro titolo emblematico (L’avete notato? Olmi ha il gusto del titoli brevi, ficcanti e significativi). Alla vigilia dei trent’anni Olmi fa un film sul primo lavoro; alla vigilia dei settanta ne fa un altro sull’ultimo.
Il Domenico di allora, ragazzo di Meda e figlio di operai, prende contatto col triste e squallido mondo impiegatizio; il suo volto dolorosamente malinconico dietro a un tavolo, chiude il film. Lo diceva gia il Tommaseo nell’Ottocento: posto, in genere, è il luogo dove uno si può porre e “quella d’impiego stabile è positura a molti comoda”.
Il mestiere di Joanni de’ Medici è quello di dare la morte, e di riceverla. Di uccidere per non farsi uccidere. Ancora il Tommaseo, alla voce “mestiere” che riguarda la materiale fatica, lo distingue, con minore dignità, dalla professione e dall’arte, aggiungendo che può essere nobilitata dall’accompagnamento come il mestiere dell’armi. (Per secoli infatti, s’è detto “L’arte della guerra”. Chi oserebbe oggi ?) In questo caso emerge l’origine della parola, dal latino “ministerium” attraverso il francese arcaico “mestior”, ossia ministero, offizio.
Il mestiere delle armi In un trattato giapponese del XVIII secolo si legge: “Morite col pensiero ogni mattina, e non avrete più paura di morire.” E’ quel che fa Joanni: sa di essere esposto, in ogni ora del suo offizio, al rischio di morire. E’ ben consapevole del paradosso della condizione umana. Come ha scritto con l’abituale acume Roberto Escobar : “Un paradosso che – come dirà sul letto di morte – vivrebbe con identico ‘coraggio’ anche se, invece che soldato, gli fosse capitato d’essere prete”.
E’ impossibile non vedere con quale efficacia visiva Olmi trova le immagini per mostrare l’arma – il falconetto a retrocarica – che condanna a morte Joanni stroncando la sua fiera giovinezza. Ma fate attenzione ai bambini, agli occhi dei piccoli contadini che guardano i morti, i frutti del mestiere delle armi. Soltanto così si può comprendere la tragica grandezza suo ultimo film. Non occorre salire su un pulpito per diffamare la guerra come voleva Guy de Maupassant.

autore
04 Giugno 2001

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