Monica Bellucci: io una Bond Lady italianissima

"Nel definirmi solo di una cosa sono sicura: che sono italiana in tutto". La popolare star è la protagonista del melò Ville-Marie, opera seconda del regista canadese Guy Èdoin


“Isabelle Huppert ha detto una volta che forse le attrici hanno tante principesse dentro di loro e quando interpretano un ruolo, una di queste principesse si sveglia”. Con ironia e un po’ di saggezza Monica Bellucci affronta la raffica di domande dei giornalisti nel giorno in cui passa nella Selezione ufficiale il film di cui è protagonista, un melò, Ville-Marie, del regista canadese Guy Èdoin. Ancor di più, ora che ha passato la soglia dei cinquanta, continua essere desiderata dalla cronaca e dal costume cinematografico, con un po’ di voyeurismo sulla bellezza che sfida il tempo.
In Ville-Marie è un’attrice famosa e amata dal pubblico che si trova a Montreal a girare un film diretto dal suo attuale compagno. E’ anche l’occasione per riprendere il rapporto con il figlio Thomas che non vede da tempo e che ha cresciuto da sola. Thomas (Aliocha Schneider), rinfaccia alla madre di non avergli mai confidato chi sia il padre.
Intorno a loro gravitano anche le vicende intime di Marie (Pascale Bussières) e Pierre (Patrick Hivon), che lavorano entrambi in un ospedale. Tutte esistenze, come quella di Sophie, irrisolte e segnate dalla sofferenza, che il caso fa incontrare. E da queste ‘collisioni’ ognuno prende o dà un contributo per curare le ferite, supera un gradino con la prospettiva di un futuro meno doloroso.
Il titolo del film, oltre che il nome dell’ospedale, è il primo nome che i francesi diedero alla città e richiama anche il nome dell’infermiera che connette tra loro i vari protagonisti del film.

Che cosa le è piaciuto del copione?
Queste diverse vite che s’intrecciano e la mia parte che è scritta bene ed eclettica. Inoltre del primo film di Guy Édoin, Marécages, mi era piaciuta la sua direzione degli attori, la naturalezza della recitazione.

Che cosa l’ha convinta a interpretare questo ruolo?
Mi è piaciuto perché ha più sfaccettature: Sophie è madre, donna e attrice. Usa il fatto di essere attrice anche per proteggersi, come fosse un’armatura. Ed è una madre forse lontana dalla madre perfetta che vorrebbe essere. C’è questo grande segreto tra lei e il figlio, un padre sconosciuto e assente. A un certo punto lei si toglie questa armatura e mostra al figlio che si è spogliata per lui, che è pronta a essere solo una donna, solo una madre.

Non è un caso che in una scena finale, lei Sophie si tolga il trucco con l’acqua. Le è costato apparire al naturale?
Il lavoro vero non è tanto togliersi il trucco, che è un gesto esterno, quanto rappresentare il dolore, e tutto parte da dentro. Sophie lascia il glamour, che è parte della sua professione, e sente il bisogno di far trasparire il suo dolore negli occhi.

Nel film il suo personaggio vive il lavoro di attrice quasi come una protezione e lei nella realtà?
Vivo l’essere attrice come un’esposizione, non sul set ma dopo, quando si promuove il film, quando c’è questo momento di luce, come succede oggi in questa Festa. E invece la protezione c’è quando sono nell’ombra, allora lì mi ricarico.

Come si è sentita a cantare?
Non la definirei una prova canora, non sono una cantante, piuttosto una persona che usa delle note per esprimere un sentimento. Sophie non sa come comunicare con il figlio e ricorre al canto.

Molti attori dicono che recitare non nella loro lingua dà molta libertà.
A me dà molta tensione, in questo momento recito in serbo e mi fa paura. Per me è complicato girare in altre lingue, è un doppio lavoro.

Ma il film di Emir Kusturica, On the Milky Road, è terminato?
Finisco di girarlo a novembre, è da tre anni che mi impegna. Il film è solo in esterni e dunque si gira solo d’estate.

Ma lei si sente francese?
No mi sento italianissima. L’altro giorno a chi mi chiedeva come mi definisco ho risposto che non lo so, ma che di una cosa sono sicura: che sono italiana in tutto.

In Spectre di Sam Mendes che tipo di Bond Lady è?
Posso solo dire che si chiama Lucia, è italiana, una misteriosa vedova con dei segreti.

E’ vero che 20/30 anni fa aveva rifiutato una parte in uno 007?
No. Certo se l’avessi fatto allora sarebbe stato più ovvio, ora è un momento speciale. Ma non sono io che decido è il caso, la fortuna che mi fa incontrare i registi.

Lei ha superato i 50 anni, avrà fatto un bilancio della sua carriera?
Quando ho cominciato questo mestiere non avrei mai pensato di raggiungere questi traguardi come vivere a Parigi. Quanto alla bellezza la considero un regalo che ci viene dato. Quando comincia a venir meno, arriva un altro tipo di bellezza che come attrice significa accettare altri ruoli, e per ora arrivano, e come donna guardare il mondo da un altro punto di vista.

Essere una star vuol dire…
Essere una stella che brilla. In Francia star come la Deneuve vengono sempre chiamate ‘mademoiselle’, come fossero bambine che non crescono mai. Ecco come diva mi sento una bambina non cresciuta.

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20 Ottobre 2015

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