Mitumba: il viaggio della t-shirt


MitumbaMitumba – The second hand road è un piccolo ma prezioso documentario on the road sulle tracce degli indumenti che vengono depositati nei cassonetti di raccolta sparsi per la città. Partendo da Amburgo, una maglietta da calcio di una squadra giovanile “abbandonata” da un bimbo tedesco viaggia con i più disparati mezzi di trasporto, fa tappa a Napoli e arriva fino a un piccolo villaggio della Tanzania, dove, dopo mille passaggi, diventerà definitivamente di proprietà di un ragazzino del posto.

“Il film – come ci spiega il regista Raffaele Brunetti – è nato dalla curiosità della montatrice (nonché mia moglie) Ilaria De Laurentiis nei confronti di una maglietta indossata da un ragazzo in un villaggio del Burundi: sul petto campeggiava la scritta ‘Centro Ippico Olgiata’…”.

La maglietta, al contrario di quanto si possa pensare, non viene quasi mai regalata ai poveri del Sud del mondo, ma vive un lungo e complicato processo di compravendite che, a seconda dei casi, fa arricchire o permette di sopravvivere agli intermediari. Questo equivoco – che alcuni chiamano “truffa” –  è alimentato dal fatto che sui cassonetti di raccolta a volte compaiono i loghi di associazioni come la Croce Rossa, che fanno pensare ai cittadini che i vestiti vengano semplicemente donati. In realtà le associazioni  permettono ad aziende private di utilizzare il loro marchio in cambio di una percentuale che poi, dicono, utilizzeranno per le loro attività benefiche. Dal cassonetto parte quindi un commercio che coinvolge decine di persone e società create appositamente, fino ad arrivare alla contadina della Tanzania che sta seguendo un “corso di business” per imparare a guadagnare col suo commercio di “mitumba”, i colli di abiti usati.

“In Tanzania nessuno vuole credere che i vestiti che arrivano, possano essere stati regalati da qualcuno – continua il regista –  tant’è vero che sono convinti di comprare ‘i vestiti dei bianchi morti’. Per loro quegli abiti usati valgono più dei capi nuovi prodotti nel loro paese perché, oltre che avere un’effettiva garanzia sulla qualità e la durata, sono i vestiti degli occidentali. Mi è capitato addirittura di assistere a una scena tra moglie e marito che avevano appena comprato una maglietta e che pensavano di essere stati fregati con una maglietta nuova di produzione cinese, che copia lo stile dell’usato occidentale!”.

Il film è una appassionata ricerca, tra reportage e documentario di creazione, che entra nei meccanismi contorti del commercio globalizzato, ma anche una riflessione sul riciclaggio dei materiali e sul rifiuto dello spreco: “Io sono comunque favorevole all’idea di recuperare i materiali e di evitare così una distruzione che sarebbe antieconomica e anche inquinante, ma forse certi meccanismi dovrebbero essere più chiari. Mitumba è stata una bella ma faticosa avventura, non tanto per le vicissitudini di un viaggio che mi ha portato in un altro continente, quanto per le difficoltà produttive. Come purtroppo spesso accade – prosegue Brunetti – l’Italia non ha voluto investire nemmeno un euro nella produzione di questo film, e ci siamo dovuti rivolgere a produttori stranieri come Arté, NDR e YLE. Anche per questo il film ha un respiro e forse un gusto internazionale, dovendo essere visto anche in Germania, Francia e Finlandia. Abbiamo impiegato 3 anni per trovare i finanziamenti internazionali, circa 175.000 euro, e pochi mesi per realizzare il documentario. In Italia Planet ha effettuato solo un pre-acquisto: si potrà vedere Mitumba su quel canale a settembre prossimo. Nell’attesa andremo sicuramente ad alcuni dei festival di documentari più importanti”.
Nel frattempo il collega documentarista Giovanni Piperno, presente anche lui alla proiezione, è stato incaricato di dirigere un film di finzione sullo stesso tema nato da un’idea di Alessandra Lentini e sceneggiato da Gaudioso, Nunziata e Giubilini, con la Pablo come prima produzione interessata all’investimento. 

26 Aprile 2005

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