Mike Leigh: “Così racconto la battaglia delle idee”

Uscirà il 21 marzo con Academy Two il nuovo film del regista inglese che ricostruisce gli eventi che portarono al massacro di St. Peter's Field, nel 1819


Mike Leigh torna a parlare del XIX secolo nel suo film più costoso e ambizioso, prodotto da Amazon, Peterloo. Un affresco epico, molto verboso, che è quasi una riflessione sui differenti linguaggi della politica tradizionale, che non esiste più ma che potrebbe ancora ispirarci. Ecco ad affrontarsi le classi dominanti e i lavoratori che rivendicano il diritto al voto nell’Inghilterra dei primi dell’Ottocento. Siamo all’indomani della battaglia di Waterloo – e le prime immagini ci portano proprio in questa carneficina che segnò la vittoria del Duca di Wellington e della restaurazione contro Napoleone Bonaparte. La popolazione inglese, in particolare gli operai tessili di Manchester, è ridotta alla fame, salari sempre più miserabili e il costo del pane che cresce a dismisura per le tasse sul grano, mentre i proprietari sono arroccati ottusamente sulle loro posizioni: per il furto di un cappotto si rischia di finire sulla forca o esiliati in Australia.

Ecco il contesto in cui si inserisce l’episodio storico che il regista – candidato all’Oscar per il suo precedente Turner, Palma d’oro per Segreti e bugie e Leone d’oro per Il segreto di Vera Drake – ricostruisce analizzando le vicende che portarono alla strage di St. Peter’s Field in un film di due ore e mezza di durata, che uscirà senza tagli il 21 marzo con Academy Two. Scelta lodevole di un distributore coraggioso che ha deciso di sostenere quest’opera – era in concorso a Venezia – che è una vera e propria fucina di idee, sorprendente in un’epoca come la nostra, dove la politica è spesso ridotta a poco più di un emoticon o di un tweet. Due ore buone sono dedicate proprio a mostrare la battaglia delle idee con le due parti politiche e le loro divisioni interne: tra i rivoluzionari ci sono i sostenitori della protesta pacifica e i radicali pronti all’uso delle armi, all’interno delle classi dirigenti invece il fronte è meno frastagliato, agli ottusi che vogliono solo la repressione, si contrappongono coloro che sono disposti a fare qualche concessione al popolo, ma per puro opportunismo. Tutto confluisce nella lunga scena del massacro avvenuto a Manchester dove il 26 agosto 1819 si radunarono oltre 60.000 persone, tra cui moltissime donne – era già nato un movimento organizzato delle operaie – e bambini, per chiedere alla corona, indolente, dissipata e distratta, il diritto di voto e condizioni di vita umane. Il 76enne Mike Leigh è a Roma e stasera sarà all’Eden per l’anteprima a inviti a cui prenderà parte anche Paolo Taviani. 

Un film sulla nascita della democrazia in Europa, un film storico dunque ma con un forte impatto sul presente perché il concetto stesso di democrazia sembra vacillare per molti motivi.

Spero che Peterloo stimoli nello spettatore una riflessione sul tema della democrazia senza metterne in discussione i capisaldi. Quando abbiamo iniziato a lavorare al progetto, all’inizio del 2014, quasi ogni giorno c’erano notizie che ci facevano capire quanto questo discorso fosse importante. Allora però non potevamo prevedere che il mondo sarebbe cambiato così tanto nei successivi cinque anni. Diamo per scontata la democrazia e tutte le cose positive che porta con sé, ma nel mondo, dalla Brexit  alle elezioni negli Usa con la vittoria di Trump agli accadimenti politici italiani e di altri paesi, è evidente che la prassi democratica può portare con sé anche delle storture. I giovani oggi sono istruiti ma non prendono sul serio l’istruzione, hanno il diritto di voto eppure non sempre vanno a votare. Non ho mai fatto film con l’intento di veicolare un messaggio, le mie sono opere aperte. Affido dunque allo spettatore il compito di partire dal nucleo emotivo della vicenda per cercare la proprie risposte. Per questo non si chiude con uno slogan e neppure con i dati sui morti, i feriti e gli arrestati di St. Peter’s Field oppure sui passi successivi che hanno portato a ottenere il suffragio. Ognuno pensi a cosa si deve fare per preservare la democrazia.

Non sono molti i registi che coltivano un cinema schiettamente politico come il suo o quello di Ken Loach. Si sente parte di una specie protetta?

Credo che i giovani registi abbiano tanti buoni motivi per affrontare la realtà che li circonda, anche se magari, a causa della cultura mediatica in cui siamo immersi, hanno un senso della realtà diverso, appartengono a generazioni diverse. Non credo che solo i veterani come me o Ken Loach facciano film impegnati. E’ vero però che mentre le nuove tecnologie consentono a chiunque di fare un film, è sempre più difficile per i giovani realizzare opere per il cinema, prevale una mentalità industriale che bada solo al potenziale commerciale e non al valore culturale. I giovani non hanno la libertà che due veterani come noi possono permettersi.

Peterloo ci mostra la nascita della dialettica politica che, all’inizio dell’Ottocento, si afferma come dibattito delle idee e analisi aperta anche alle classi subalterne. Oggi le cose sono profondamente cambiate, prevale una politica fatta da una parte di fake news e dall’altra di mozioni degli affetti, come nel caso di Greta e del movimento ambientalista, una politica che definirei ‘intuitiva’.

Su questo argomento si potrebbe parlare per ore, ci vorrebbe un convegno… Diciamo che condivido la sua analisi. Il film può stimolare a riflettere sull’importanza della discussione, dello scambio e del confronto attraverso il linguaggio politico. All’inizio dell’Ottocento vediamo persone che esprimono le loro idee in modo diretto e onesto, anche tagliente, e il film ci mostra la complessità dell’elaborazione del pensiero. Questo è radicalmente cambiato nel secolo dei mass media. Credo che la sua domanda sia più che altro una lamentela, che condivido.

Quanto c’entra la persistenza della monarchia in Gran Bretagna, monarchia che il film mette chiaramente alla berlina, in eventi come la Brexit?

Parlando da repubblicano, quale sono, è sorprendente che in Gb abbiamo ancora una monarchia ed è strano che sia così salda, è una cosa che definirei ridicola e anacronistica. Non credo però che l’esistenza della monarchia possa spiegare quello che sta succedendo con la Brexit. Piuttosto la radice è nella paranoia xenofoba che troviamo anche in paesi repubblicani come l’Italia. Detto questo vorrei sottolineare che la monarchia britannica ha una straordinaria capacità di autoconservazione. Pensate che Re Giorgio V, il Kaiser e lo Zar erano cugini e molto legati tra loro. Ebbene, prima della Rivoluzione russa, lo Zar chiese asilo in Inghilterra e la protezione del re Giorgio V, ma lui capì che aiutarlo sarebbe stato un pericolo per la monarchia inglese e rifiutò, poi suo cugino venne assassinato con tutta la famiglia dai rivoluzionari.

Quanto è conosciuto in Gran Bretagna l’episodio di St. Peter’s Field?

Non molto. Io sono della zona di Manchester eppure ne avevo sentito a malapena parlare, a questa vicenda è dedicato un piccolo paragrafo sui nostri libri di storia. Mentre lavoravo al film ho parlato con tante persone, dai 20 ai 70 anni, e ben pochi erano al corrente.

Come mai ha scelto di condensare la scena del massacro alla fine del film?

Non avevo una mira politica precisa. Sono partito dal lavoro di ricerca e, anche se Peterloo non è un documentario, tutti i dettagli sono veritieri, pur all’interno di una drammaturgia e con alcuni personaggi inventati. Quando si arriva alla scena del massacro, voglio che il pubblico sia in grado di capire bene cosa succede e perché. Si poteva fare un film solo su quella giornata, ma sarebbe stato, secondo me, meno coinvolgente. 

Come si è documentato? Proprio in quella fase, tra le altre cose, nasce il reportage giornalistico. 

Riguardo al XIX secolo, si possono fare ricerche su qualsiasi argomento perché tutto è disponibile negli archivi, compresi i discorsi politici. Tra l’altro uno dei personaggi, Samuel Bamford, era uno scrittore e ha raccontato la vicenda in un libro. Poi, giustamente, ci sono i giornali dell’epoca che sono tutti disponibili al National Archive.

La scena finale è estremamente complessa e realistica. Come l’avete girata? 

Su sedici settimane complessive di riprese, cinque settimane sono state dedicate solo a quella scena molto complicata. Siamo rimasti dentro, evitando di usare droni o riprese dall’alto, abbiamo usato tre mdp. Ogni singolo quadro è stato costruito separatamente: i magistrati alla finestra, la zona del palco, le varie famiglie che partecipano alla manifestazione. Con la consulente storica Jacqueline Riding, che è anche una storica dell’arte e aveva già collaborato a Turner, abbiamo parlato con ogni singola comparsa spiegando chi era, cosa stava facendo e il contesto storico generale.

Come ha lavorato sul versante della scrittura?

Come in tutti i miei film. Non scrivo una sceneggiatura convenzionale. Prima di tutto faccio le mie ricerche da solo raccogliendo tutti gli elementi che andranno a comporre la narrazione, quindi passo sei mesi insieme agli attori per ritagliare e costruire i personaggi. Quindi facciamo delle prove nelle location e lascio che gli attori improvvisino, su questa base viene scritta la sceneggiatura. Questo metodo non è mai cambiato. Ma una cosa del genere si può fare solo con attori molto intelligenti e non tutti lo sono. Però attori stupidi, nei miei film, non ne avete mai visti.

Quanto c’è di documentato nella stesura dei dialoghi?

I discorsi sono spesso citazioni testuali. Anche i tre casi dibattuti in tribunale con la punizione severissima di reati minori, come il furto del cappotto, sono tre casi che ho ripreso senza cambiare una virgola. 

Il personaggio di Henry Hunt, il proprietario terriero che si mette a capo della protesta, interpretato da Rory Kinnear, poteva diventare una sorta di eroe del film?

Non ho mai avuto la tentazione di farne un eroe. Ho tentato di dipingerlo esattamente com’era in base ai documenti a mia disposizione. Era un uomo molto benestante, impegnato socialmente, che decise di abbracciare il ruolo del radicale, era un eccellente oratore dalla voce stentorea, un egocentrico smisurato, innamorato di se stesso.

E’ un personaggio moderno?

Forse sì, siamo nel 1819, ovvero duecento anni fa, ma non è passato così tanto tempo come sembra, era l’inizio del tempo moderno. L’Ottocento non è così remoto.

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18 Marzo 2019

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