Michael Haneke e le colpe “nascoste”


M. HanekeFrancia, Germania, Austria e Italia hanno collaborato a produrre Caché, quarto film di Michael Haneke in concorso a Cannes. Con un budget di 8,5 milioni €, il progetto coinvolge al 10% la BIM di Valerio De Paolis, che distribuirà in autunno. 

Caché, nascosto o forse rimosso, come il lontano passato di Georges, giornalista culturale che diventa “ostaggio” di una videocamera. Lui, sua moglie (Juliette Binoche), suo figlio di dodici anni sono spiati da uno sconosciuto che forse tanto sconosciuto non è, perché conosce dettagli della sua infanzia. Il protagonista di questa storia, un impeccabile Daniel Auteuil, è il tipico intellettuale parigino: brillante e coltissimo, ma chiuso e freddo, incapace di affrontare a viso aperto il lato oscuro delle cose, non si confida pienamente neppure con sua madre (Annie Girardot). “Gli intellettuali commenta il regista sono esseri umani come gli altri, altrimenti il mondo sarebbe ben diverso”.

HiddenMolto tempo prima, all’età di sei anni, Georges aveva messo i bastoni tra le ruote a mamma e papà che volevano adottare Majid, un piccolo algerino, figlio dei loro domestici, rimasto orfano in un brutale episodio (reale e altrettanto rimosso) della storia di Francia. Nel 1961 circa duecento algerini, che avevano partecipato a Parigi a una manifestazione anticolonialista, vennero uccisi e gettati nella Senna. Georges, che non voleva dividere la cameretta con il nuovo arrivato, non per razzismo ma per infantile egoismo, cominciò a mettere in cattiva luce Majid con i suoi. Disse che sputava sangue. Poi si inventò che aveva tagliato la testa al gallo per spaventarlo. Alla fine, seppure a malincuore, i genitori spedirono il ragazzino lontano dalla loro bella casa di campagna, in orfanotrofio.
Ora Georges non vuole saperne di quell’episodio, che i vhs anonimi e altri messaggi “cifrati” gli riportano negli incubi notturni. “E’ ora che comincia la colpa. Può capitare a chiunque di distruggere la vita di qualcuno, ma bisogna vedere come affrontiamo le conseguenze del nostro gesto”, dice Haneke, che a Cannes vinse il Grand Prix della giuria con La pianista. Naturalmente il cineasta sessantatreenne, riconosce il tema Algeria come una delle piste di un film dal finale radicalmente ambiguo, ma preferirebbe che fosse visto da una prospettiva più ampia. “Ogni paese ha i suoi scheletri nell’armadio: l’Austria, la Germania, la Jugoslavia. Alla fine Georges prende due sonniferi e si tira la coperta sulla testa come facciamo noi dando quattro soldi al Terzo Mondo per non vedere”. E non può non colpire quanto la cattiva coscienza del mondo occidentale occupi le riflessioni del cinema, a partire dagli italiani Marco Tullio Giordana e Daniele Vicari.
Certo, Haneke un po’ somiglia a quella classe intellettuale che tanto detesta; manipola lo spettatore depistandolo e lasciandolo alla fine a bocca asciutta con un finale-rebus, che chiede di non rivelare a chi scriverà del film. Così non sapremo mai chi ha girato le videocassette, ma in fondo non importa. “Non ho voluto, come fa il cinema mainstream, rimettere tutto a posto. I film che mi restano sono quelli che mi hanno destabilizzato, gli altri li ho dimenticati”.

autore
14 Maggio 2005

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