Micaela Ramazzotti ‘naufraga’ per Stefano Chiantini

Il film in streaming distribuito da Adler Entertainment il 9 luglio su Apple TV/ iTunes, Google Play, Amazon TVOD, Rakuten e Chili e il 16 luglio su Sky


Esce in streaming distribuito da Adler Entertainment il 9 luglio su Apple TV/ iTunes, Google Play, Amazon TVOD, Rakuten e Chili e il 16 luglio su Sky, il film Naufragi, scritto e diretto da Stefano Chiantini (Isole; Storie sospese) e interpretato da Micaela Ramazzotti.

Un film sul disagio psichico nei rapporti familiari, sul dolore e sullo smarrimento che ne consegue, ma anche sulla capacità delle persone di ricominciare a vivere, nonostante tutto.

Il film, prodotto da Andrea Petrozzi, è una produzione World Video Production con Rai Cinema, in coproduzione con la francese Offshore, si avvale della direzione della fotografia di Claudio Cofrancesco, delle scenografie di Ludovica Ferrario, dei costumi di Marta Passarini, delle musiche di Piernicola Di Muro e del montaggio firmato da  Luca Benedetti.

Maria, Antonio e i due figli sopravvivono a fatica con il solo stipendio di lui. Nonostante le difficoltà, sono una coppia unita e si amano incondizionatamente. Quando un evento tragico stravolge le cose, Maria deve lottare con tutte le proprie forze per tenere unita la famiglia…

“E’ un racconto che vorrebbe porsi come una ricerca nella semplice direzione della statura umana dei suoi personaggi, tratteggiarne con segni decisi il profilo psicologico e indagarne l’animo – dice il regista – Non mi interessa in questo caso dare letture e proporre il mio sguardo sul mondo attraverso il linguaggio cinematografico, mi interessa solo che il film sia pulsante e traboccante di stati dell’animo, che la tecnica sia subordinata alla poetica. Naufragi contiene in sé numerosi temi che s’intrecciano tra di loro: il tema del disagio psichico nei rapporti familiari, il senso di colpa, l’impossibile elaborazione di un lutto, lo sgretolarsi dei rapporti familiari e il loro ricostituirsi sotto forme diverse. “Naufragi” è essenzialmente un film sul dolore e sullo smarrimento che ne consegue, sulla resistenza delle persone al dolore e sulla loro capacità di ricominciare a vivere nonostante tutto. Senza nessuna retorica, nessuna enfasi, ma attraverso un racconto che lavora sulla “sottrazione”, sull’assenza, sul vuoto. Essenziale, scarno, aspro, ma traboccante di sangue pulsante come solo la vita vera sa essere.

Il film lo avevo pensato per Micaela – dice ancora Chiantini –  ma non potevo essere sicuro che avrebbe partecipato. Poi ci siamo conosciuti, e ho conosciuto la sua passione, la sua forza, la sua fragilità e la scrittura si è maggiormente assestata su di lei. Non so cosa mi abbia ispirato, ho una scrittura che nasce gradualmente: ci sono situazioni attorno a me che osservo, metabolizzo e nascondo. Quale episodio abbia fatto scaturire la scritture del film è difficile. Avevo bisogno di raccontare un animo umano femminile alle prese con l’elaborazione di un lutto e con il bisogno di sopravvivere. La cosidetta resilienza. La Rai e il produttore avevano già deciso di essere nel film prima che arrivasse Micaela, e di questo sono contento perché mi ha dato sicurezza. E’ un film con le sue difficoltà, è stata una scommessa dato che non sono poi così affermato, ho avuto la totale complicità di tutti e mi sono potuto muovere liberamente. Il film si ambienta in un ‘non luogo’, un luogo dell’anima. I posti sono un teatro di posa, una messa in campo dell’anima dove far muovere i personaggi. Un’altra cosa che mi caratterizza e che mi scopro spesso a ricercare è l’assenza totale delle figurazioni. Non uso mai le comparse, le poche persone che ci sono le rubo dal vivo, dall’ambiente reale. Cerco di eliminare la messa in scena. Mi metto al servizio di storia ed emozioni. Ho riflettuto sulla solitudine di Maria, che mondo avesse intorno prima dello spaccato che abbiamo raccontato, ma non ho voluto dare troppe spiegazioni, ho scardinato il bisogno convenzionale di raccontare il pregresso. Come i fratelli Dardenne. Ma il personaggio deve essere coerente, quindi ho certo immaginato il suo passato, ho solo deciso di non raccontarlo”. 

“Il mio personaggio ha il ‘mal di vivere’ – racconta Ramazzotti – si sente un’inetta, un’incapace, è lei stessa una bambina come i suoi figli, ha paura di affrontare le piccole cose della vita, figuriamoci i grandi traumi. Quando incontro personaggi come questi, vulnerabili, e anche fantasiosi e stravaganti, è un gran regalo. Lei è nata storta, mi piace mettere luce su questi personaggi, ho un’inclinazione ad amare personaggi di questo genere. Ci saranno due traumi, è un film dove si affronta il dolore del lutto e la ripartenza dopo di esso, che forse è ancora più dolorosa. Io sono appassionata dei film di Lars Von Trier, ho guardato molte volte Le onde del destino anche in questa occasione. Oppure Cassavetes. Sono attori che raccontano di debolezze umane. Il mio personaggio scappa da ogni responsabilità, pure dalle bollette. Il marito si occupa di tutto, ha una specie di disturbo dissociativo. Non integra coscienza, pensieri, identità, memoria, comportamento. Si fa male. Scende nelle viscere del suo dolore. E’ un personaggio rotondo, pieno di sfaccettature. Coi bimbi è un sorella maggiore, gli fa marinare la scuola e li porta sul pedalò. I bambini sicuramente con lei si divertono, anche se non riesce ad essere madre, e anzi dovrebbe essere lei stessa ad essere ‘maternizzata’. E tuttavia non lo reputo un personaggio fragile. E’ un animaletto, una creatura, reagisce al lutto come un animale selvaggio. Ma interpretarlo mi ha messo anche allegria. E’ stato il primo set a riprendere in Italia a giugno, quindi c’era in generale un certo senso di euforia sul set”.

E che mamma è Micaela Ramazzotti nella vita? “Vorrei essere una zanzara e stare con i miei figli anche quando non ci sono, voglio vederli crescere in ogni momento. Ho un po’ di mania del controllo, ma ci sto lavorando”.

C’è anche un rapporto di amicizia femminile, con il personaggio di Marguerite Abouet: “C’è in comune un’anima creaturale – dice ancora Ramazzotti – sono due persone buone con cui la vita non è stata generosa. Si guardano, si scrutano, si studiano come due gatte. Con questo incontro Maria ricomincia ad emanciparsi attraverso il mondo”.

Abouet fa eco: “Hanno in comune un passato doloroso e una corazza che si sono dovute costruire. Sono diffidenti e man mano che si costruisce il rapporto tra loro riescono a superare la sofferenza”.

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30 Giugno 2021

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