Meryl Streep si confessa: “Non sono una rockstar”

Dopo aver ricevuto la Palma d'oro alla Carriera la mitica attrice vincitrice di tre Premi Oscar ha incontrato il pubblico di Cannes, ripercorrendo la sua irripetibile carriera


CANNES – Non esiste una diva più grande di Meryl Streep, almeno non negli ultimi 50 anni. Una realtà fattuale che è resa evidente dal modo in cui il 77° Festival di Cannes l’ha accolta 36 anni dopo l’ultima volta, quando si aggiudicò il premio come migliore attrice per il suo ruolo in Un grido nella notte. Dopo la standing ovation ricevuta ieri in occasione della consegna della Palma d’oro alla carriera, l’attrice 74enne si è concessa per il consueto Rendez-vous aperto al pubblico, che ha risposto con calore e partecipazione, nella consapevolezza di trovarsi di fronte a un’artista che – grazie al valore delle sue interpretazioni – sopravviverà alla prova del tempo.

Un pubblico caloroso, ma diverso da quelle la accolse 36 anni fa, quando era già una star che poteva vantare due premi Oscar. “Quando sono venuta a Cannes per la prima volta, – racconta-  mi dissero che avrei avuto nove bodyguard. Io non ho mai avuto una bodyguard. In quegli anni non c’era la stessa sicurezza di oggi. La folla era lì e io non riuscivo a crederci, era disarmante. Ma in 35 anni è cambiato tanto, il mondo è cambiato. Addirittura non credo neanche di ricordare il momento in cui ho ricevuto il premio. Ero così spaventata.  Non sono una rockstar. Ho una vita noiosa, o meglio una vita non piena di cose iperboliche”.

Interrogata sul cinema contemporaneo, Streep ammette che le sue priorità sono cambiate negli ultimi anni. “Mi vergono di dire che in questo momento non vedo molti film se non nel periodo che va da Natale al Ringraziamento, quando escono i film nominati. Quando hai questo tipo di autorità devi vedere un’enorme quantità di film, inoltre ho un’età per cui ho lavorato con una quantità tale di registi che devo vedere anche i loro film. Insomma, sono una stronza. Credo di avere visto abbastanza film ormai: ho quattro figli, che ora sono adulti, ma è un lavoro che non finisce mai, e poi ho 5 nipoti. È una vita affollata e le ore di una giornata sono limitate. In compenso, ho visto ogni Camille Cottin in ogni singolo episodio di Dix Pour Cent (Call my Agent!)”.

Il film che ha lanciato la sua carriera, quando era ormai quasi trentenne, è stato Il cacciatore di Michael Cimino, un capolavoro della storia del cinema a cui l’attrice a contribuito con un ruolo secondario ma cruciale. “Sono una ragazza cresciuta in una piccola città nel New Jersey. La mia città ha avuto un gran numero di persone che sono andate in Vietnam e non sono tornate o sono tornate ferite. Il mio fidanzato è tornato come un eroe. Sono fatti che hanno influenzato profondamente la vita di tante persone, a livello emotivo e personale”.

Ma la sua interpretazione più memorabile è forse quella ne La scelta di Sophie, che le è valsa il suo primo Oscar come protagonista. Una delle scene più toccanti è proprio quella della “scelta”, che dà il titolo al film: “L’abbiamo girata due volte, quella nel film è la seconda. Perché la prima volta la bambina non sapeva cosa stava per succedere e quando ha visto quest’uomo non ha avuto nessuna reazione. La seconda volta sapeva cosa stava per succedere, sapeva che lui l’avrebbe presa e portata via. La reazione della bambina è la cosa più straziante del film”.

Nel film diretto da Alan J. Pakula, Streep ha sfoggiato una delle sue capacità più notevoli, ovvero la versatilità con cui imita accenti diversi. “Se avessi interpretato donne del centro del New Jersey per tutta la mia vita non sarei qui in questo momento. Ho dovuto espandere il palato. Ogni personaggio è diverso. I miei figli mi dicono che quando rispondo a un operatore telefonico indiano, gli parlo con accento indiano. Non è una cosa difficile ma mi ha dato la possibilità di interpretare persone diverse. Sono interessata in donne che non sono come me, o meglio, non lo sono apparentemente ma lo sono nel profondo”.

Un suo altro grande talento è indubbiamente il canto, messo in mostra in film cult come Mamma Mia. “Amo cantare, da bambina ho preso lezioni di opera. Poi alle superiori ho iniziato a fare cheerleading e a fumare, e ho rovinato tutto. Cantare crea una linea diretta con il tuo cuore. L’insegnante più importante che ho avuto è stata quella di canto. Un giorno disse a tutta la classe che avremmo dovuto alzarci, cantare e far piangere gli altri. Lo facemmo tutti ed è stato fantastico, una grande lezione”.

Non poteva mancare, nelle fasi finali dell’incontro, un accenno alla condizione delle donne nel mondo del cinema. “È tutto molto diverso da quando ho iniziato, le donne erano sottovalutate. I film sono proiezioni dei sogni delle persone e anche i produttori esecutivi hanno sogni. È molto difficile per un uomo riconoscersi in un personaggio femminile, mentre non è difficile per le produttrici immedesimarsi in un uomo. La prima volta che un uomo è venuto da me e mi ha detto ‘so esattamente come ti senti’ è stato ne Il Diavolo veste Prada. Me lo hanno detto in tanti in quel caso. I ruoli delle donne sono fantastici adesso. Le donne si producono da sole. Anche io ho una piccola casa di produzione. Il problema è che non voglio fare chiamate dopo le sette di sera”.

Il Time’s Up ha cambiato le cose, non solo ad Hollywood. – conclude l’attrice, facendo riferimento al movimento contro le molestie che ha sostenuto in prima persona – Ha avuto un effetto su tutte le persone, sui comuni lavoratori. Anche se alcuni crimini vengono ancora commessi, ci ha permesso di correggere un po’ le cose e in alcuni contesti di identificare i veri abusi”.

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