Menzogna e pacifismo per François Ozon

Il regista francese in concorso con l'incantevole e inquietante Frantz, in bianco e nero, ambientato alla fine della prima guerra mondiale, rifa un film minore di Lubitsch


VENEZIA – François Ozon, al suo sedicesimo film, il terzo in concorso alla Mostra, mette una seria ipoteca sui premi con Frantz, la sua nuova opera che riscrive un classico minore di Lubitsch – fu il suo massimo insuccesso – componendo un apologo sulla menzogna come medicina per l’anima migliore della verità. La trama, da non rivelare pienamente, è tratta da una pièce di Maurice Rostand, e ci trasporta in un piccolo centro della Renania all’indomani della prima guerra mondiale, nel 1918. Ogni giorno la giovane e sensibile Anna si reca a portare fuori sulla tomba del fidanzato Frantz, caduto al fronte alla vigilia del 24° compleanno. Una mattina si imbatte in un giovane francese che visita anche lui il cimitero e ben presto scopre che si tratta di un grande amico di Frantz, un amico del tempo trascorso dal suo promesso sposo, appassionato alla poesia di Verlaine, a Parigi. Superando i forti rancori che dividono le due nazioni, con le ferite della guerra ancora aperte e laceranti, Anna e Adrien legano e il giovane viene introdotto a casa dei genitori di Frantz, felici di ascoltare il racconto di quei mesi spensierati, tra il Louvre e l’Opera, e di veder così rivivere il defunto.

A questa pièce, come si diceva, si era ispirato anche Ernst Lubitsch con Broken Lullaby nel 1931, un film poco noto. “Sono partito dal testo teatrale, scritto negli anni ’20, che mi aveva molto colpito – racconta Ozon – quando mi sono reso conto che esisteva già un film e di un grande come Lubitsch, ho pensato di rinunciare. Poi ho capito che potevo ribaltare il punto di vista, raccontare la storia non dalla prospettiva francese ma da quella dei tedeschi, di chi aveva perso la guerra. Mi piace l’idea che il tedesco Lubitsch abbia assunto il punto di vista francese e io, francese, quello tedesco. Mi piace anche l’intreccio delle due lingue e delle due culture nella narrazione”.

La vicenda si è molto trasformata anche nella scrittura. “Ho mantenuto alcune scene, ad esempio quella in cui il padre di Frantz, parlando con i suoi coetanei, denuncia la responsabilità della sua generazione nel destino di tanti giovani morti al fronte, però ho aggiunto tutta la seconda parte, perché Lubitsch terminava la narrazione con Adrien che si era sostituito in tutto a Frantz, quasi adottato dai suoi genitori, mentre io ho raccontato quello che succede dopo, facendone un romanzo di formazione incentrato sul personaggio di Anna”. Altra forte differenza è quella della prospettiva storica: “Lubitsch gira negli anni ’30, prima della seconda guerra mondiale, e il suo pacifismo è ancora pieno di speranza. La sua messinscena è impeccabile come sempre e piena di inventiva ma allo stesso tempo, è il film di un cineasta americano, di origine tedesca, che non sa che una seconda guerra mondiale si sta profilando all’orizzonte e che vuole fare un film ottimista, di riconciliazione. La guerra 14-18 era stato un tale massacro che tante voci politiche e artistiche, sia in Francia sia in Germania, si erano alzate per difendere l’ideale pacifista: ‘mai più’. Il mio punto di vista da francese che non ha conosciuto nessuna delle due guerre invece era per forza diverso”.

Colpisce, nel film, anche la scelta di un bianco e nero nitido e fascinoso, evidente omaggio al cinema classico, che in alcuni momenti si accende al colore. “I nostri ricordi della prima guerra mondiale sono tutti in bianco e nero, e poi dal punto di vista estetico mi sembrava la scelta giusta per trasmettere i momenti del lutto e del dolore, mentre il colore segna il ritorno alla vita”. E c’è un dipinto di Edouard Manet, Le suicidé, fondamentale per la narrazione, che vediamo prima in bianco e nero e poi a colori. “Nel film il quadro era di Courbet, un quadro molto bello, ma in cui sembra che l’uomo dorma. E’ un’immagine troppo armoniosa, io ne volevo una violenta, poi ho trovato Le suicidé, un’opera moderna, che sembra simbolizzare il trauma della guerra e che alla fine, quando la vediamo a colori, mostra il rosso del sangue sulla camicia bianca”.

Per quanto riguarda la scelta di girare in tedesco (è la prima volta che gira in questa lingua), Ozon sottolinea come il pubblico di oggi “non accetterebbe mai l’uso convenzionale di una sola lingua per personaggi di nazionalità diversa. E’ un problema di verità. Gli attori hanno dovuto fare un grande lavoro per imparare le battute in una lingua non loro”. I due protagonisti, il francese Pierre Niney (Yves Saint Laurent di Jalil Lespert) e la tedesca Paula Beer, sono entrambi bravissimi a restituire la tensione, anche erotica, che pervade la vicenda (c’è anche molto eros tra Adrien e Frantz nei flash back sulla loro amicizia): “Pierre lo avevo già visto in molti film – dice Ozon – Aveva una preparazione teatrale, mi piaceva il suo fisico, la sua immagine: la sua fragilità e la sua sensibilità potevano tornarmi utili nella costruzione del personaggio. Paula la conoscevo meno. Ho detto alla direttrice del casting di cercare una giovane Romy Schneider, e ho trovato lei, adorabile, intelligente e con questa aria pudica”. 

Frantz esce in Italia il 22 settembre con Academy Two.

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