CANNES – Non sono una novità gli adattamenti letterari per il maestro dell’illustrazione Lorenzo Mattotti, da vent’anni di base a Parigi, che ha già trasformato in fumetto opere come Le avventure di Huckleberry Finn o la Divina Commedia. Autore di sceneggiature come il Pinocchio di D’Alò, ma anche pittore e regista (suo uno degli episodi del gotico film collettivo Peur(s) du Noir), ha realizzato il manifesto ufficiale del Festival di Cannes nel 2000 e ha collaborato con artisti come Lou Reed, Soderbergh e Antonioni. Ma questa volta si è davvero superato affrontando la sfida di portare Dino Buzzati, l’autore de Il deserto dei tartari, al cinema. Lo fa col suo esordio al lungometraggio d’animazione, La famosa invasione degli orsi in Sicilia, che arriverà nelle sale con BIM. Un film che è tutto un incanto, tratto dall’omonimo racconto per bambini di Buzzati uscito a puntate sul ‘Corriere dei Piccoli’ e poi pubblicato integralmente nel 1945, che letto all’epoca aveva anche chiari riferimenti storici contemporanei alla dittatura e alla guerra. Qui diventa un’opera d’arte fatta di illustrazioni immaginifiche e tessiture ariose, che abbandonano le campiture dal peso materico, tipiche dell’illustrazione di Mattotti, per aprirsi alla leggerezza di una rappresentazione nitida, con grandi aperture di campo.
La pellicola, come il racconto, è divisa in due parti, la prima parte ha una dimensione fiabesca mentre la seconda ha un tono da romanzo caratterizzato dal complotto e dalla mancanza di lieto fine. Ma nel film compaiono anche nuovi personaggi, come quello della bambina e del cantastorie, inseriti come espediente per rendere più lineare la narrazione rispetto al complesso testo di Buzzati.
Un film che è una fiaba che sa di parabola, e in cui tutto incanta: la struttura ritmica del racconto che avanza in un movimento danzante, come in uno spartito; le trasformazioni, come quella del gatto mammone, figura tondeggiante che divora la scena con violenza; quei segni fluidi e filiformi ricchi di suggestioni oniriche; la natura surreale con quelle nuvole che sembrano montagne che camminano o quelle onde del mare graficizzate “per mantenere la felicità ingenua del disegnare”.
Tra le voci italiane Toni Servillo, Antonio Albanese, Corrado Guzzanti e Andrea Camilleri. Ne parliamo con il regista, a Cannes per presentare il film.
All’origine del film c’è il racconto per bambini di Buzzati del 1945. Che cosa le interessa di questo scrittore e del suo tipo di narrazione?
Buzzati mi ha sempre influenzato nel mio lavoro, sia per la capacità narrativa di creare mistero e immaginario visionario, che per i suoi quadri e le sue immagini. Aveva fatto anche un meraviglioso poema a fumetti nel ‘71. L’ho sempre sentito come un maestro e nelle mie storie ho spesso fatto riferimento a lui.
Quale pensa sia la potenza di Buzzati, uno dei pochi autori che viene letto ancora oggi?
Credo sia la sua forza visionaria, la capacità di creare delle situazioni universali. Dal quotidiano innesta il non spiegabile, ci dà l’essenza del mistero e della vita che vorremmo comprendere, ma non riusciamo. A me affascina anche quella strana malinconia che c’è in lui, che è, però, sempre unita ad un’ironia aristocratica e distaccata.
Cosa ha cambiato rispetto al racconto originario nel suo adattamento cinematografico?
Nella storia di Buzzati non ci sono personaggi femminili, molti collegamenti nel romanzo sono estremamente fantasiosi, è un racconto complesso pieno di personaggi, rimandi e cambi di situazione che sarebbe stato difficile restituire tutti in un solo film. Io volevo essere il più fedele a Buzzati, mantenere la stessa struttura e dare questa gioia del raccontare, dell’inventare storie e del commentare. Per questo abbiamo trovato, insieme agli sceneggiatori, lo stratagemma del cantastorie e di una ragazzina che gira per le montagne della Sicilia, che ci ha permesso di dare linearità e ritmo alla storia, in modo che tutto sia fluido nella narrazione e possa coinvolgere lo spettatore.
Cosa ha, invece, preso da Buzzati?
Mi ha dato i binari, avrei mantenuto tutti i personaggi ma era impossibile, ho cercato di prendere tutto quello che c’rea anche dal punto di vista grafico che ho mantenuto e sviluppato, in un continuo dialogo con le immagini di Buzzati, che è minimalista ma aveva delle idee grafiche potentissime: sono ispirati a lui i soldati che sembrano soldatini di piombo, la danza delle palle di neve, nuvole che sembrano montagne che camminano. Anche per il mare volevo un’idea grafica precisa, e ho utilizzato le onde disegnate per mantenere quella felicità ingenua del disegnare.
Il film vuole essere una storia animalista ed ecologista riferita al giorno d’oggi, oppure mantiene quei riferimenti alla guerra e alla dittatura presenti nel racconto del ‘45?
Per me il riferimento è tutto all’attualità, non ho mai pensato all’interpretazione di Buzzati del ‘45. La forza di questa favola è che si rinnova continuamente perché parla di cose universali. Essendo un disegnatore, nell’opera di Buzzati ho visto anche la grande capacità di inventare mondi, creare immaginari. Così io ho voluto mettere in scena un lavoro che è proprio delle nostre radici, con leggende e rituali che fanno parte della nostra tradizione. Dare l’impressione che c’è un altro immaginario, europeo, di cui essere orgogliosi, oltre a quello americano e cinese, e che forse non siamo in grado di trasmettere ai nostri ragazzi. Per creare un immaginario diverso da quello gotico americano, ho fatto vedere ai miei collaboratori opere come quelle di Beato Angelico o le grotte di Giotto.
Quali aspetti l’hanno più colpita di più del racconto?
Vedevo delle grandi potenzialità in questa favola, sia dal punto di vista grafico che narrativo. Ho sempre adorato la dolcezza che c’era in questi orsi, anche nel raccontare cose molto dure e forti con una sorta di ironia distaccata che è propria del gioco della narrazione. Creature ingenue che piano piano vengono completamente corrotte dall’umano, di cui prendono i loro stessi vizi. C’erano tante storie all’interno, noi abbiamo seguito il rapporto tra padre e figlio, una cosa che è capitato anche a me quando mi sono trasferito a Parigi e i miei figli hanno iniziato ad assimilare la cultura francese. Mi sono interrogato su cosa avrebbero trattenuto delle proprie radici. È una favola piena di argomenti, ma non dà soluzioni. Gli orsi tornano alla montagna ma poi c’è il segreto del vecchio orso che è un’apertura, il suggerimento che magari c’è un modo di pensare al futuro più bello, e ognuno ci vede quello che vuole.
Come ha lavorato sul doppiaggio italiano e come ha convinto lo scrittore Camilleri a collaborare dando voce al vecchio narratore che racconta la storia?
La versione originale è in francese, ma per la l’italiano ho avuto la possibilità di lavorare con il gioco degli accenti – il siciliano, il veneto – e credo che il film ne abbia guadagnato in giocosità.Riguardo a Camilleri, conosceva le mie immagini e amava, per fortuna, il mio lavoro. All’inizio era titubante, l’abbiamo convinto dicendogli che gli avrebbe preso poco tempo. È un narratore italiano vecchio stile e la sua partecipazione era importante anche a livello di simbologia.è una forma di continuità.
Ci sono anche riferimenti cinematografici da cui ha tratto ispirazione?
Ho pensato al grande cinema d’animazione di fantasia, ai classici Disney, a Miyazaki con Totoro e La Principessa Mononoke. Ma anche a film come Yellow Submarine, per il senso di libertà e la gioia nella grafica, o film d’avventura come Lawrence d’Arabia, per i grandi paesaggi e gli spazi sconfinati.
Sui titoli di cosa c’è la dedica a Carlo Mazzacurati.
Era un mio grande amico, una persona meravigliosa. Spesso mi ha spinto a fare del cinema, negli ultimi tempi avrebbe avuto anche voglia di lavorare con me a dei film con l’animazione. Per me è come una presenza protettiva che ho sempre dietro, nella mia testa.
Il personaggio femminile è stato inserito per fare un omaggio ad Almerina Buzzati o al momento è impossibile fare un film senza?
Entrambi. Comunque mi sembra impossibile non mettere un personaggio femminile in un film d’animazione per bambini.
Nel film il tratto appare in parte diverso dal suo modo di disegnare tradizionale.
Non volevo che il film avesse il mio tratto, volevo un film aereo. Non volevo la nebbia, il gioco dello sfocato. Tutto doveva essere molto preciso e nitido, senza pastello, qualcosa che non è nel mio stile di disegno. Ma il film doveva avere una sua propria estetica, volevo che le immagini si aprissero nello spazio.
Quale di questi personaggi vorrebbe come amico?
A me è molto simpatico Gedeone, il cantastorie, ma anche avere Almerina accanto credo sarebbe molto divertente.
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