Matt Dillon è Jack e la sua storia è quella di un uomo affetto da disturbo maniaco compulsivo, uno con l’ossessione per la pulizia, un assassino seriale al femminile, tra le sue vittime anche un’assillante Uma Thurman. La casa di Jack è un racconto dark, non esente da umorismo nero, che parte dalla distorsione possibile della psiche umana per riflettere non solo su di essa: apre, infatti, un’ampia pagina su tematiche come etica, definizione dei concetti di “arte” e “icona” nel mondo contemporaneo, fino al tema controverso della religione.
Lars von Trier usa l’escamotage dello psyco thriller per aprire un dialogo tra la coscienza dell’assassino seriale Jack e Virgilio, proprio quello dantesco, che traghetta l’anima dell’uomo dal suo stato patologico all’Inferno, letteralmente, visivamente. Il personaggio della Divina Commedia per ampia parte del film è una voce fuori campo, che dialoga, dibatte, disquisisce con Jack ma, ad un punto cruciale della vicenda dello psicotico, appare in scena, interpretato da Bruno Ganz, che conduce Dillon nel ventre infernale della Terra, discesa che visivamente è trattata con scelte estetiche molto interessanti e potenti, cromie fiammeggianti e plongée vertiginosi, con scene che ricordano molto composizioni pittoriche di LaChapelle e il Delacroix de La libertà che guida il popolo.
Matt Dillon, convincente protagonista di un ruolo tutt’altro che semplice, ha presentato il film in anteprima a Roma, parlando del suo Jack, di Lars von Trier e ricordando l’ammirato compagno di scena Bruno Ganz, scomparso appena un paio di giorni fa. “Questo personaggio, Jack, rappresenta una possibile declinazione della natura umana: è uno psicopatico, gli manca completamente l’empatia. È un film che parla di serial killer ma anche di un artista fallito, proprio perché gli manca il profilo emotivo”, ha detto l’attore americano. “Credo von Trier sia riuscito a forgiare questo personaggio, che man mano si trasforma in tanti personaggi proprio perché gli manca un centro di equilibrio. Ho avuto dei dubbi prima di accettare: il soggetto era molto interessante e la ragione per cui ho poi accettato era l’esperienza che sapevo avrei vissuto con un regista come Lars von Trier, che ho sempre ammirato. Ho avuto dubbi, sì, ma quando ho letto la sceneggiatura ho avuto la sensazione di non aver mai letto qualcosa di così preciso”. Era tanto puntuale il Jack anaffettivo scritto dal regista danese che Dillon ha anche ammesso di temere: “di non riuscire a farcela, perché giudicavo il personaggio, ero spaventato dall’orrore delle sue azioni, temevo lo avrei rifiutato. Non è stato facile per me: Jack è nato privo di empatia e per poterlo interpretare ho dovuto spegnere in me queste emozioni. Comunque, la cosa più importante per me è stato il processo del fare il film: abbiamo girato senza mai far prove, cosa per un attore difficile ma importante, perché ti obbliga a rinunciare alle tue idee intellettuali e a stare concentrato sul momento. È stato molto interessante e alla fine sono felice: Lars ha fatto un grande lavoro, di cui ha confermato di sapersi prendere la responsabilità. Non mi interessava tanto l’argomento ma affrontarlo con un regista come lui, infatti gli ho chiesto perché volesse fare un film con questo personaggio. Ha risposto che è quello che sente più vicino a lui stesso. Quando lavori con un regista di cui ti fidi sei disposto a rischiare e Lars ti fa fidare di sé”.
Un personaggio complesso, quello interpretato da Matt Dillon, che non sarebbe potuto essere tale senza il Virgilio dell’ultimo Bruno Ganz: “Sono molto triste del ‘passaggio’ di Bruno, un grandissimo attore, uno dei miei prediletti. Mi sento anche molto fortunato ad aver potuto lavorare con lui. Avevo 17 anni quando ho visto per la prima volta il suo personaggio del giocatore di scacchi che impazzisce, l’ho amato sin da allora. Tra l’altro sono stato ingaggiato prima di lui e Lars poi mi ha mandato un sms con la sua foto e scritto sotto: ‘Virgilio?’. Sono stato molto felice. Non sono riuscito a vedere il film con loro due, poi ho chiamato Bruno per sapere cosa ne pensasse e mi ha detto: ‘è una delle cose più belle che abbia mai visto, e tu sarai orgoglioso della tua prova’. Jack possiamo definirlo un misantropo: è interessante il rapporto tra la natura violenta di Jack e il suo pensiero, soprattutto nel dialogo con Virgilio. Il film è strutturato sul dialogo tra Virgilio e Jack, che non è Dante. Ed è interessante il dialogo finale sulla moralità, in cui Virgilio accompagna Jack fino alla fine degli Inferi, confessando che ci sono persone addirittura peggio di lui, lasciate quindi due gironi sopra…”.
Dillon ha dichiarato di non amare il dark, ma che il film, alla prima visione con von Trier, gli è piaciuto: “Non dico sia stato tutto semplice, molte scene me le sono portate dietro, ma ho capito che riuscivo a distinguere Jack da Matt. In occasione della visione ho detto a Lars che mi piaceva il film e lui era sconcertato: non ama che la gente ami il suo lavoro! Ho rischiato che quella mia affermazione gli facesse cambiare tutto!”.
La casa di Jack esce il 28 febbraio in Italia, distribuito da Videa: 120 le copie confermate. Il film al momento non ha ancora ricevuto il Visto Censura, e a questo proposito Dillon ha detto che: “Quando il film è uscito negli USA ho riflettuto su questo tema, ma poi accendi la tv e vedi scene reali molto più brutali e quindi ho pensato che qui si trattasse di personaggi, che volutamente Lars voleva fossero disturbanti. Ci sono varie versioni del film, alcune con immagini più grafiche, altre con parti tagliate: non sono un fan della censura e ritengo che questo film vada masticato e digerito prima di giudicarlo, ha un finale con una forte morale, e il film ha anche a che vedere con l’ossessione che Lars ha nei confronti della religione”.
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