Rivive tra la Siria e l’America di oggi il celebre vampiro di Murnau, il conte Orlok (alias Dracula), ridisegnato a mano da Andrea Mastrovito, artista italiano che vive e lavora a New York ed espone nei maggiori musei del mondo. Per realizzare il suo primo lungometraggio, NYsferatu – Symphony of a Century, evento speciale alla Festa di Roma, ci sono voluti tre anni di lavoro e 35mila disegni animati con la tecnica del rotoscoping, in cui il disegnatore ricalca i fotogrammi di scene reali girate con la telecamera per ottenere un risultato fluido e vibrante al tempo stesso, che ricorda il flickering dei primi anni del cinema muto. NYsferatu prende il via dalla New York contemporanea, dove Hutter vive sereno e dimentico del mondo con la moglie Ellen, fin quando non viene inviato ad Aleppo dal suo capo, lo spietato broker immobiliare Knock, per vendere una proprietà al Conte Orlok. Giunto in Siria, Hutter conosce suo malgrado gli orrori della guerra mentre Orlok col suo carico viene imbarcato clandestinamente verso New York. Dopo un lungo e terribile viaggio entrambi arrivano in città, dove il piano dell’avido Knock comincia a prendere forma a discapito della libertà di ognuno. Nel film il conte Orlok parla diverse lingue, che corrispondono agli idiomi originali delle comunità di immigrati newyorkesi che hanno sono state coinvolte nel progetto, “per sottolineare il fatto che Nosferatu è un’idea, non una persona”.
Durante la proiezione ufficiale al MAXXI le immagini del film, muto, saranno accompagnate da Simone Giuliani al piano, compositore delle musiche originali, e dall’artista siriana Bisan Toron, voce solista.
Perché, tra le varie versioni cinematografiche ispirate al Dracula di Bram Stoker, ha scelto di rifarsi al capolavoro di Munrau del 1922?
Un motivo è essenzialmente tecnico, il film è stato girato con la telecamera fissa e questo ha limitato il numero di fotogrammi da ricreare. Poi c’è l’elemento estetico: la pellicola di Munrau ha un segno espressionista che rispecchia il mio tratto. Il film, poi, è l’unico sui vampiri a cui è stata data un lettura sociopolitica legata alla situazione in Germania dopo la seconda guerra mondiale, un modo per rappresentare la paura del popolo tedesco verso chi veniva dall’esterno. In fondo è esattamente quello di cui ha paura il modo di oggi: il diverso che arriva da fuori.
Mentre espressioni e movimento dei personaggi ricalcano il film originale, sfondi e ambientazioni si trasformano: la Transilvania, ad esempio, diventa la Siria di oggi martoriata dalla guerra. Perché queste trasposizioni?
Quando Bram Stoker scrive Dracula pensa alla Transilvania come un posto ai confini del mondo. Oggi in Occidente, e soprattutto in America, si ha lo stesso atteggiamento nei confronti dell’Oriente e della Siria, visto come un coacervo di situazioni conflittuali e come patria dell’Isis, il mostro nero che vive lì, proprio come Nosferatu viveva in Transilvania.
Chi è il personaggio di Nosferatu che passeggia nella NY di oggi con la sua bara in mano?
Il conte Orlok si aggira sperduto per la città desolata con la sua bara in mano, portando con sé i suoi unici averi, e il suo percorso verso la speranza di una vita migliore è una metafora dell’immigrazione. Al tempo stesso la sua ombra che si allunga per le strade di Manhattan richiama immediatamente la minaccia terroristica che dall’11 settembre la città conosce fin troppo bene. Ma la parte spaventosa di Nosferatu è solo la sua ombra, non è lui a fare paura, ma è chi proietta la sua immagine a deformarlo mostruosamente. Lo spaventoso è nel modo in cui noi proiettiamo l’ombra di chi arriva dal di fuori.
Cosa ruota attorno alla paura atavica scatenata dal vampiro?
Essenzialmente il vampiro fa paura perché è qualcosa di familiare e non familiare al tempo stesso. Nel mio film il vero vampiro è la citta di New York, il mito, la città che non dorme mai. Un posto da cui tutti siamo attratti, io per primo che ci vivo da anni, ma che succhia la vita ai suoi abitanti, trasformandoli quasi in una condizione di non morti.
Cosa rappresentano la New York di oggi, in cui il film è ambientato, con tutti i suoi continui messaggi?
Ellis Island a inizio Novecento era il posto in cui venivano portati tutti i migranti provenienti dall’est, rappresenta quindi l’approdo naturale delle speranze. Era dunque inevitabile far arrivare lì il conte Orlok. Quando si arriva oggi a New York si è circondati da un bombardamento di messaggi, generalmente pubblicitari. Io ho usato quegli stessi spazi per aggiungere una una serie di didascalie al film che, con citazioni di canzoni, opere d’arte e poesie, potessero raccontano qualcosa di differente rispetto alle immagini mostrate sullo schermo, lanciando così un messaggio ideologico che ne rivelasse il significato intimo.
Nel film i due personaggi della coppia si muovono all’opposto: da un lato la moglie, Ellen, ricerca disperatamente la libertà, dall’altro il marito, Hutter, sembra ambire solo alla sicurezza.
Hutter è il newyorkese medio, corre sempre, anche nel film originale, non si ferma mai a riflettere sulle sue azioni e sembra interessato solo ai soldi. Sono gli altri a dirgli cosa fare e la sua paura più grande è quella di non pagare l’affitto, un tema che è tornato molte volte negli incontri che ho avuto, prima di realizzare il film, con diversi gruppi di immigrati che vivono in America. Ellen rappresenta invece la libertà, ma anche una sorta di Cassandra che vede sin dal primo momento la distruzione della città e cerca di evitarla. All’inizio il suo personaggio era il mio preferito e ho cercato di renderla nel modo più virtuoso possibile, poi man mano mi son accorto che anche lei veniva usata dal potere occulto del film, il vero male rappresentato dallo spietato broker immobiliare Knock che è l’ombra del potere finanziario della Grande Mela, l’unico personaggio che nel film ha soli elementi negativi. Così alla fine la libertà si lascia manipolare e si sacrifica per niente
Ci dice qualcosa di più sulla tecnica utilizzata? Come funziona il rotoscoping?
A livello tecnico NYsferatu è stato realizzato in tre anni con circa 35mila disegni in rotoscoping, una tecnica d’animazione in cui il disegnatore ricalca i fotogrammi di scene reali girate con una telecamera, ottenendo come risultato un movimento fluido e vibrante al tempo stesso. Tutti i personaggi sono sempre fedeli ai fotogrammi del film originale, mentre gli sfondi sono stati disegnati per trasformarne le ambientazioni, ripetendoli di tre in tre per dare quel senso di leggera vibrazione, in accordo con il vibrato dei personaggi in rotoscoping.
In un’epoca subissata da immagini digitali tornare al disegno e all’animazione a mano sembra quasi un gesto anacronistico.
Il tratto grafico è il passaggio primario dal mondo delle idee al mondo della reale, è l’essenza stessa dell’essere artista. Oggi viviamo in un momento storico in cui tutti i significati del mondo sono da riscrivere e la pratica del disegno, che prevede tempi lunghi di realizzazione, mi ha aiutato man mano a portare fuori e rappresentare tutto quello che avevo nella mente. Il disegno è il mio strumento d’indagine per designare le cose.
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