E’ stato presentato come preapertura alla Festa del Cinema di Roma Gli anni amari, il film di Andrea Adriatico sulla vita dell’attivista gay Mario Mieli vissuto negli anni ’70. Il film animerà anche la serata di pre-apertura del festival, con i protagonisti, i produttori Saverio Peschechera per Cinemare, Samanta Antonnicola e Federico Pedroni per Rai Cinema, e Nicoletta Mantovani per Pavarotti International.
Tra gli ospiti, anche alcune persone reali impersonate dagli attori sullo schermo, come lo scrittore Umberto Pasti (interpretato da Tobia De Angelis), la regista Maria Bosio (Rossella Dassu) e la traduttrice Laura Noulian (Margherita Mannino). Rileggere gli anni 70 attraverso la vita di uno dei suoi protagonisti più originali ed estremi: Mario Mieli, ideologo di una sessualità oltre gli schemi, attivista del nascente movimento omosessuale, intellettuale, scrittore, performer, morto suicida a 30 anni nel 1983.
Il regista Adriatico arriva al film dopo anni di ricerche, “anni durissimi, fatti di mille ‘no’, fatti di mille ‘chi te lo fa fare’. Ho tenuto duro. Non sono un cineasta semplice. Lo capisco. Non edulcoro le mie storie, non racconto l’omosessualità addomesticata e facile col frocio da commedia o da romanzo sentimentale. Gli anni amari è un grido di libertà pagato con la vita. E un invito a non accontentarsi.”. Il film muove i suoi passi dall’austero liceo milanese in cui Mario (l’esordiente Nicola Di Benedetto) esprime già con coraggio la propria personalità chiedendo di farsi chiamare Maria, e dal rapporto ambivalente con la ricca famiglia di industriali: in particolare i genitori (Antonio Catania e Sandra Ceccarelli) e il fratello Giulio (Lorenzo Balducci). Un viaggio a Londra indica a Mario la chiave futura del suo attivismo: la lotta politica attraverso la teatralità e il travestitismo.
Da quel momento la sua vita non ha soste: la prima manifestazione italiana di omosessuali nel 1972 a Sanremo; la pubblicazione presso Einaudi di Elementi di critica omosessuale, pietra miliare negli studi di genere; i comizi in cui arringa le folle al raduno del Parco Lambro o a Bologna nel 1977 quando ruba la scena a Dario Fo per scagliarsi contro migliaia di giovani in piazza; la trasmissione Rai in cui, con tacchi e trucco, intervista gli operai dell’Alfa Romeo sull’omosessualità. “Mieli è stato il promotore di un movimento per la liberazione omosessuale – spiega Grazia Verasani, autrice della sceneggiatura ( e anche attrice nel ruolo di di Fernanda Pivano, figura importantissima della cultura italiana) con Stefano Casi e il regista – che nacque da una volontà di cambiamento sociale, inclusi l’utopia, il sogno, e un modo ideale, visionario e creativo di mettere il personale e il politico sullo stesso piano. Il film racconta questo clima irripetibile attraverso di lui”. Ma c’è anche la vita privata: la devozione esoterica inseguendo una proclamata discendenza dai faraoni; la droga e i ricoveri negli ospedali psichiatrici; una fitta rete di amici o amanti, come il giovanissimo cantautore Ivan Cattaneo (Davide Merlini), l’architetto Corrado Levi (Francesco Martino), il pittore Piero Fassoni (Giovanni Cordì) e il giovanissimo Umberto Pasti (Tobia De Angelis). Fino alla tormentata scrittura del romanzo autobiografico Il risveglio dei faraoni e al suicidio. Gli anni amari intreccia il livello politico con quello personale: la biografia di un geniale adolescente che inventa la propria vita, forte e determinato nelle sue idee e nelle sue azioni stravaganti e battagliere, ma anche psichicamente fragile e calato in una solitudine fatale.
Il film è in definitiva il documento di una storia collettiva di aspirazioni libertarie e colorate manifestazioni giovanili, sullo sfondo degli anni di piombo e di un’aspirazione rivoluzionaria: “I giorni nostri hanno completamente perso quel senso rivoluzionario – dice il protagonista Nicola Di Benedetto –, quella rabbia intelligente che si è andata a disperdere. Gli anni amari è necessario per riportare in primo piano una figura di cui finora si conosce solo qualche immagine sfocata, anzi pixelata”.
Merita una menzione speciale la colonna sonora del film: ci porta nelle sonorità italiane, più o meno conosciute, degli anni 70 che accompagnano la vita del protagonista, e che attraversano molti generi esemplari di quell’epoca. Le prime scene del giovanissimo Mario Mieli sono accompagnate da Abracadabra (1969), che ci introduce con la voce di Sylvie Vartan in un’atmosfera scanzonata e frizzante, e da Il primo giorno di primavera (1969) dei Dik Dik, che unisce il testo di Mogol e Minellono alla musica di Mario Lavezzi sostenuta dalla famosa introduzione dell’organo Hammond. Con Non mi rompete (1973) del Banco del Mutuo Soccorso entriamo in pieno negli anni 70 più sperimentali. Al rock progressivo del gruppo romano si affianca quello più irriverente del lombardo Ivan Cattaneo, che nel film – dove è presente anche come personaggio – compare con due suoi brani: Polisex e Darling (1975), quest’ultimo con il testo scritto proprio da Mario Mieli. Ma gli anni 70 non sono solo sperimentazione. Trionfa il pop, che nel film ha la voce di Raffaella Carrà che canta una delle sue maggiori hit, Rumore (1974), e di Paolo Frescura con la romantica Bella Dentro (1975). Chiude la carrellata – e chiude il film – la voce di uno degli artisti più originali e marginali, il primo sperimentatore di musica elettronica, Faust’O, che irrompe con la martellante Piccole Anime (1980) a chiudere il decennio delle tante musiche e della vita di Mario Mieli.
Parola al premio Oscar Ron Howard, regista di Pavarotti, documentario biografico in Selezione Ufficiale alla Festa di Roma 2019, stasera in prima serata su Rai Uno: materiale familiare inedito, interviste originali, tra cui a Nicoletta Mantovani, alle tre figlie e alla prima moglie, e a Bono Vox, un racconto franco e celebrativo, intimo e pubblico
Bilancio positivo per il festival dedicato ai ragazzi, che ha registrato un incremento del 29% alle biglietterie, 6000 biglietti in più rispetto al 2018. "Nel tempo siamo riusciti a costruire un rapporto diretto e autentico con tutto il pubblico, partendo dalle scuole, fino ad arrivare agli accreditati e alla critica". Così dichiarano i direttori Fabia Bettini e Gianluca Giannelli
Il premio è stato consegnato ai due registi belgi durante la 17ma edizione di Alice nella Città da Angela Prudenzi, Francesca Rettondini e Cristina Scognamillo
CECCHI GORI - Una Famiglia Italiana: dopo la mostra fotografica, la Festa ospita il documentario, per la regia a quattro mani di Simone Isola e Marco Spagnoli, prodotto da Giuseppe Lepore per Bielle Re, che ha curato la realizzazione dell’intero progetto dedicato alla dinastia che ha fatto grande parte del cinema italiano