Parte da una citazione di Fabrizia Ramondino, raffinata scrittrice napoletana scomparsa nel 2008, Capri-Revolution, il nuovo film di Mario Martone, dal 20 dicembre al cinema con 01 Distribution. “Quest’isola compare e scompare continuamente alla vista e sempre diverso è il profilo che ciascuno ne coglie. In questo mondo troppo conosciuto è l’unico luogo ancora vergine e che ci attende sempre, ma solo per sfuggirci di nuovo”. Un’isola-tutto dove particolare e universale si incontrano in una narrazione fitta di echi letterari e artistici, di rimandi alle idee del Novecento, dal socialismo all’omeopatia, di utopie realizzate o irrealizzabili. Nel 1914, mentre l’Europa è sull’abisso della guerra mondiale, la giovane capraia Lucia (Marianna Fontana) entra nell’orbita di una comune di artisti libertari e vegetariani arrivati dal Nordeuropa e guidati da Seybu (Reinout Scholten van Aschat). Affascinata dal loro stile di vita, che è tutt’uno con la creazione artistica e stimola spiritualità e rapporto con la natura, lascia la famiglia e viene ripudiata dai fratelli. Ma la ventenne, ribelle e dotata di forte temperamento, è in relazione anche col giovane medico condotto (Antonio Folletto), fervente socialista e fautore del pensiero scientifico. Un film di idee, dunque, e di dialettica, un film per molti versi hegeliano, che prende spunto dalla vicenda storica della comune del pittore Karl Diefenbach a Capri dal 1900 al 1913 ma anche dal magistero dell’artista performativo Joseph Beuys (1921-1986) nella sceneggiatura scritta da Martone con Ippolita di Majo e ora pubblicata da La Nave di Teseo. Prodotto da Indigo con Rai Cinema (e coprodotto dai francesi di Pathé), il film è interpretato anche da Eduardo Scarpetta e Donatella Finocchiaro, nel ruolo intenso e sofferto della madre di Lucia. Frattanto il Madre di Napoli e Contrasto dedicano all’artista (già al lavoro sul nuovo film) un volume a cura di Gianluca Riccio, Mario Martone. 1977-2018.
Martone, da cosa siete partiti nella scrittura, così complessa e stratificata?
Il film nasce da Leopardi, dal finale de Il giovane favoloso con i versi de La ginestra. Il rapporto tra il molto intimo e la volta del cielo, tra esperienza personale e senso della Storia, le magnifiche sorti e progressive… La prima e la seconda guerra mondiale ci diranno dove portano le ideologie che pensavano di salvare il mondo. La scoperta di questa comune di Diefenbach, di cui non sapevo nulla, ci ha aperto la prospettiva, con Ippolita di Majo abbiamo spostato avanti la vicenda, al 1914, perché l’incombere del conflitto dice molto su questi giovani che, ciascuno a suo modo, vogliono tutti rompere le gabbie in cui si trovano.
Il finale implica l’idea di un viaggio che prosegue verso il Nuovo Mondo.
La scena sul piroscafo dà il senso del cambiamento, l’emigrazione verso l’America richiama altre migrazioni. In una mostra antropologica che ho visto tempo fa era riprodotto il percorso che ha portato gli esseri umani dall’Africa fino in Oceania, a piedi. In un momento come questo, in cui sembra che tutto si debba bloccare, richiamare al cambiamento come spinta vitale è più che mai importante. Invece viviamo in un’epoca in cui tutto è irrigidito.
Il contraltare a questo desiderio di cambiamento è rappresentato dalla famiglia di Lucia, una famiglia patriarcale dove i due fratelli si sentono in diritto di decidere per lei.
Abbiamo pensato molto a Verga scrivendo questa parte del film. I fratelli di Lucia sono personaggi chiusi ma anche umani.
Il film restituisce il dibattito delle idee in molti ambiti, da quello artistico a quello politico, dalla medicina all’alimentazione.
L’arte è un grande processo collettivo che ci riguarda tutti. Il confronto è fondamentale, quello tra Seybu – nome che è l’anagramma di Beuys – e il dottore, un socialista scientifico, è aspro ma in ogni caso ognuno di loro dà qualcosa all’altro. Joseph Beuys diceva che ogni essere umano è un artista.
Lo considera anche un film politico?
Non perché lanci messaggi ma solo in quanto l’arte come processo collettivo è qualcosa di politico. E’ un film dialettico. Oggi non riesco a non pensare alle pietre d’inciampo sottratte a Roma: ci stiamo abbrutendo…
Le comuni come quella di Capri o quella ad Ascona di Monte Verità, in Ticino, nate all’inizio del Novecento, rimandano a esperienze successive, dal ’68 al New Age.
Sì, mi hanno fatto pensare al ’68. In quel periodo avevo 8 anni ma ho cominciato molto presto a fare teatro, in quel periodo le arti stavano insieme. con tutti i rischi che questo comporta. La trilogia composta da Noi credevamo, Il giovane favoloso e Capri-Revolution parla del passato ma anche del presente. Tra l’altro Capri Battery è il titolo di un’opera di Beuys, che viene rievocata in una scena, e inizialmente il film si doveva intitolare proprio Capri Batterie. L’altro versante è quello della danza contemporanea con il desiderio di liberare e sentire il proprio corpo. A Monte Verità era attivo Rudolf Laban, inventore della danza moderna.
Tra i tanti riferimenti ce ne sono anche di cinematografici?
Prima di girare vedo sempre un film insieme alla troupe, ma stavolta ne ho scelti addirittura tre: Il miracolo di Rossellini per l’episodio di Anna Magnani pastora, ambientato in Costiera Amalfitana; poi Zabriskie Point per la scena in cui i ragazzi sono nudi sulle dune; e infine Il disprezzo che è il film caprese di Godard.
Si insiste molto sulla scelta vegetariana degli artisti della comune, che “non mangiano cadaveri”.
Il vegetarianesimo è una frontiera politica importante. Non sono vegetariano ma capisco che è un tema che ci riguarda e ci riguarderà sempre di più, sono nodi che verranno al pettine uno ad uno. Tolstoj, nell’ultimo periodo, era vegetariano per scelta etica. A lui mi sono ispirato.
Altro dilemma molto attuale è quello della cura: medicina tradizionale versus omeopatia.
Quando Lucia si ammala, viene curata sia dal dottore che da Seybu, poi la vediamo guarita ma non sappiamo quale medicina sia stata efficace. Mettiamo in scena un confronto. Non esistono verità assolute. La stessa medicina si è trasformata nei secoli. Bisogna curarsi e anche vaccinare i propri figli, ma non bisogna impedire di immaginare strade alternative. Leopardi diceva: “Il vero è il dubbio”. Nel dubbio ti evolvi. Se sei convinto di essere nel giusto, questo inevitabilmente ti porta indietro. Ogni volta che neghi l’altro, stai negando lo sguardo sulla tua parte negativa che è indispensabile per conoscerti.
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