VENEZIA – Il film con cui Mario Martone concorre nella sezione principale della Mostra è un complesso e sapiente affresco estetico e intellettuale tra le arti. Martone sembra assembli con armonia riferimenti caravaggeschi, in certe scene in cui la famosa luce del celebre pittore si fa cinema, insieme a paesaggi che strizzano l’occhio a Segantini, fino a coreografie che paiono disegnate sulle danze corali di Matisse, senza tralasciare cromie di volti e capelli, ma anche fogge d’abito, di matrice preraffaellita.
Capri-Revolution dichiara il luogo e l’intenzione del soggetto sin dal titolo. L’isola campana fa infatti da scenografia spettacolare alla storia, ma concorre anche ad essere protagonista: sono gli anni ’10, appena prima della Grande Guerra, e una comunità nordeuropea sceglie questo spazio petroso, e idilliaco al tempo stesso, quale luogo del proprio perfetto ritiro spirituale e di vita. Le inquadrature dedicate all’isola sono di pura bellezza, Capri trionfa con la regia estetica di Mario Martone, per cui quel posto “è un pezzo di Dolomiti ficcato nel Mediterraneo. Un luogo di tensione magnetica”.
Il regista napoletano, per l’anteprima mondiale al Lido, ha raccontato l’epifania, il cuore e il senso prospettico del film, senza tralasciare la forte connessione con la stretta attualità sociale, in cui il ruolo femminile ha una centralità necessaria da riconoscere. “Mi sono imbattuto nella storia della Comune di Karl Diefenbach, non conoscevo prima le vicende di Comuni che hanno anticipato le esperienze degli anni ‘60/’70. Da lì il cortocircuito è stato immediato: ho fatto una connessione con Joseph Beuys, e la sua opera d’arte della lampadina conficcata in un limone, Capri-Battery, degli anni ’80”, queste le prime parole con cui Mario Martone ha raccontato il suo film. “Si trattava di trovare attraverso l’arte un ennesimo modo per stabilire le relazioni tra le persone: non era solo espressione creativa, ma una questione politica. È un lavoro, questo film, che ha a che fare con le relazioni tra le persone. Per noi era interessante muovere il film non come un film storico ma capace di un respiro prolungato fino al presente”.
Capri-Revolution sembra essere il capitolo conclusivo di una trilogia, dopo Noi credevamo e Il giovane favoloso, e così una connessione temporale perennemente in bilico tra passato e presente. “Questa struttura della trilogia si è composta strada facendo, non l’ho immaginata all’origine – ha spiegato Mario Martone – Il giovane favoloso si conclude con La ginestra, dunque i progressi della natura, tema di Capri-Revolution. C’è un filo ulteriore che connette i film: i protagonisti, sempre giovani e ribelli. Ho il desiderio di raccontare un’Italia che sente la spinta a interrogarsi sul rapporto collettività-individualità. Capri-Revolution mette insieme mondi, punti di vista, modi diversi di immaginare il vivere, dove Capri è il Mondo, l’isola è il luogo del confronto, come nella nostra quotidianità. Il confronto è necessario: un tema vitale da proporre oggi, in cui tutto pare sia improntato ad una visione in cui odio e paura fanno da collante. Lucia, figura luminosa del film, non ha paura, scopre, e così conquista maturazione e indipendenza. Le rivoluzioni sono come le eruzioni di un vulcano, vanno guardate come insegna Leopardi, cioè osservando la spinta vitale intrinseca: la rivoluzione è un fiore che vuole provare ad intervenire nella società, in cui la giovinezza non è un dato anagrafico, ma la condizione dell’anima. Il film si conclude con una donna che vediamo di spalle, rivolta ad un futuro ignoto: tutti noi siamo in un viaggio dopo questa trilogia, aperti, senza pensare a priori di trovare soluzioni”.
Lucia, interpretata da Marianna Fontana, è una capraia, ma soprattutto è una figura femminile centrale, soggetto a cui Martone pare tornare dopo L’amore molesto. “Lucia si confronta con mondi maschili che riesce a superare. Si ribella, sì, ma coltiva il sentimento dell’amore, non trasforma la ribellione in odio: c’è una profondità femminile, di cui si sente sempre più bisogno nella società, dinnanzi agli schemi maschili che sembrano esauriti, soprattutto nelle dinamiche dello stare insieme. Nel film maschile e femminile si confrontano, sono molteplici gli intrecci. È stato importante, dopo L’amore molesto, tornare a fare un film con le donne, non solo in scena: a partire da Ippolita Giordano con cui ho sceneggiato, a Raffaella Giordano, la coreografa, perché la danza nel film è stata imprescindibile”. Lucia è interpretata da Marianna Fontana (una delle gemelle di Indivisibili), una fanciulla soggetta al patriarcato dominante, affamata di libertà e pronta a rompere le regole, affascinata da uno stile di vita differente dal proprio, da quello della società agreste italiana di quel periodo, e che non indugia a scegliere la strada che più sente appartenere, a costo di una rottura con la famiglia. Per il proprio personaggio l’attrice si è “preparata stando con le capre. Ho pascolato, ho munto: mi sono lasciata andare, non solo con le scene di nudo del corpo ma con l’anima. Rappresentare questa donna, mia coetanea, mi ha fatta incontrare molto con lei: è stato meraviglioso scoprire tramite il cambiamento di Lucia come è bello aprirsi al mondo. È una ragazza fragile, ma che sente la terra sotto i piedi: trovo molto sinuoso il suo muoversi all’interno della vicenda”.
Per Martone, che qui a Venezia vinse il Gran Premio della giuria con Morte di un matematico napoletano nel ’92, un film molto femminile, dunque, ma anche molto corale, come ha tenuto a sottolineare lui stesso: “Ho voluto provare a produrre e creare il film con modalità somiglianti a quello che si raccontava: un viaggio che adesso spero possa allargarsi agli spettatori. Il film è stato un grande viaggio collettivo tra tutti i reparti: abbiamo lavorato tutti insieme, sin da molto prima delle riprese. Dal passato tu guardi il presente secondo un’altra angolazione: il viaggio che farai nel passato, riguarda il presente”.
Un viaggio che si fa anche grazie alla complicità con la colonna sonora, di Sasha Ring. “È il secondo film in cui collaboriamo con Sasha, che firma l’intera colonna sonora” – ha detto il regista. “Ho chiesto che lui stesso fosse nel film, fa parte della Comune infatti, e ho chiesto di creare le musiche acustiche che i non musicisti suonano nel film. Sono stati usati strumenti della tradizione mediterranea, ma altri sono proprio stati creati apposta, per un mix acustico e elettronico. Anche la musica elettronica, a pensarci, con i suoi moduli ripetitivi, ci ha portato ad una certa idea connessa alla musica indiana: dimostrazione di un filo atemporale che, anche con la musica, connette tutto”. Compresa la complicità dei corpi, attraverso le coreografie di Raffaella Giordano, che ha detto di aver proceduto “camminando su un crinale molto stretto, come suggeritomi da Mario, per questo film coraggioso e rischioso. Il lavoro sul corpo era una responsabilità: il tentativo è stato quello di approdare ad una purezza propria del film: è stato un processo di spoliazione per poter rintracciare le radici del tutto e quindi la conoscenza. Cerco di lavorare in maniera ‘ignorante’, non per ispirazioni o riferimenti, per riuscire a stare nel presente, e magneticamente con le persone. È stato bellissimo lavorare con Marianna per la sua capacità interiore di stare nella semplicità, ma donandosi con pienezza”.
Accanto a Marianna Fontana, il protagonista maschile è Seybu, Reinout Scholten Van Aschat, nome anagramma di Beuys tra l’altro, un Cristo contemporaneo con i suoi moderni discepoli, tanto che i borghesi capresi lo chiamano sarcasticamente “Maestro”, anche se Martone riesce a trattarlo con tal delicatezza da non farlo apparire come un risibile santone. Non a caso, in una scena in cui lui stesso, vestito in una tunica bianca, scende verso la pancia di una grotta, dice: “questo è il mio tempio, la mia chiesa, quello (sole) è il mio Dio”. È lui infatti a fare da capofila alla comune del Nord Europa. Profilo contraltare di Seybu, ma disposto all’empatia umana, quello del medico Carlo Rocco, un convincente Antonio Folletto, l’unico isolano aperto a conoscere la Comune, anche a seguito d’aver compreso la fascinazione di Lucia per quel tipo di libertà. È un progressista culturale, ma che tutela la tradizione dell’isola.
Capri-Revolution è un film sull’incontro di due Mondi, una reciproca immersione, con l’apertura ad altri universi possibili: concorre anche Lucia, con la sua conoscenza del luogo, delle coltivazioni, della pietra, a diventar “maestra”, innescando così la circolarità e l’innesto delle culture e dei saperi.
Il film è prodotto da Indigo Film con Rai Cinema, che lo distribuisce per l’Italia con 01 Distribution: in sala dal 20 dicembre. “Quella di Natale, è un’uscita importante”, ha tenuto a far notare Paolo Del Brocco, AD di Rai Cinema.
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