Marilyn: la diva che volle farsi attrice


“I wanna be loved by you”, cantava la Diva. E chi non vorrebbe essere amato da Marilyn Monroe? A Colin Clark, poi diventato un affermato scrittore e documentarista, ma nel 1956 un egregio “signor nessuno”, è successo davvero. O almeno, così racconta nei suoi due libri ‘Il principe, la ballerina ed io’ e ‘My week with Marilyn’, che oggi il regista Simon Curtis ha condensato in una pellicola, prendendo in prestito il titolo del secondo.

 

My week with Marilyn, il film, presentato fuori concorso al Festival Internazionale del Film di Roma, racconta, supportato da un cast stellare che vede coinvolti Kenneth Branagh, Julia Ormond e Judi Dench, oltre alla strepitosa Michelle Williams e a Emma Watson in fuga da Harry Potter, il ‘flirt’ tra Clark (qui interpretato dal semi-esordiente Eddie Redmayne) e la divina Monroe. Il 1 giugno arriverà in Italia con il titolo Marilyn e la distribuzione di Lucky Red, dopo aver fruttato un Golden Globe alla protagonista, nominata anche all’Oscar assieme al partner di set Branagh.


Non un biopic, dunque, ma solo una parentesi nella vita della star, collocata nel periodo in cui lei sta tentando di crescere come attrice, lavorando sul set de Il principe e la ballerina, diretto e interpretato da Laurence Olivier (Branagh) e al contempo si trova in luna di miele con il suo nuovo marito, il grande commediografo Arthur Miller. Clark, invece, poco più che ventenne, è l’ultima ruota del carro: terzo assistente alla regia. Quando Miller lascia il paese, Clark fa da cicerone alla Monroe mostrandole la vita londinese, trascorrendo una settimana insieme, permettendo all’attrice, sempre più instradata verso una fatale depressione, di fuggire dalla routine di Hollywood e dalle pressioni del lavoro.


“La sfida era terrificante – confessa il regista, venuto a Roma a presentare il film – ma mi sono fatto coraggio pensando che non avrei dovuto tratteggiare Marilyn a tutto tondo, ma solo un particolare momento della sua vita. Per molte persone giovani lei non è nemmeno un’attrice, ma un’icona. Ne conoscono il volto, ritratto da Andy Warhol o, come in un negozio vicino all’Università di mia figlia, composto da centinaia di caramelle. E’ come Madonna, o Lady Gaga, e ovviamente il supporto di Michelle è stato fondamentale. Sono orgoglioso della sua Marilyn, nessuno poteva incarnare meglio di lei la diva a trent’anni. Per quanto riguarda Branagh, è stato facile, dato che in molti lo hanno soprannominato ‘il nuovo Laurence Olivier’. Chiaro che la possibilità di fare il film dipendeva dagli attori che avrebbero interpretato i due ruoli. Nel film – continua – abbiamo delineato la presenza di almeno tre Marilyn: il suo personaggio nel film di Olivier, la Marilyn pubblica, tutta occhiatine e ancheggiamenti davanti ai giornalisti e ai fan, e la vera donna, quella che vede appunto Colin, nel privato, dietro le quinte, in camera da letto. Il personaggio stesso di Marilyn era un’invenzione, il suo modo di atteggiarsi, di camminare. Era come il passo di Charlot. Magari si poteva andare in giro con lei per una giornata, ed era in grado di non farsi riconoscere. Poi si accendeva un interruttore, iniziava a ‘fare Marilyn’, e la folla accorreva”.


Il film di Curtis fotografa perfettamente anche il cinema di quel periodo: “Ho usato pochissimi estratti da Il principe e la ballerina. E’ un film strano, ancora molto legato al teatro. Ma il giorno in cui Michelle ha dovuto riprodurre la celebre danza di Marilyn è stato speciale. Un’iniziazione. E l’abbiamo girata nel medesimo studio del film originale”.

 

La pellicola si basa anche molto sul contrasto tra Marilyn e Olivier. Lei istintiva, inaffidabile, imbottita di alcool e pillole eppure capace di una carica sensuale che destabilizza l’intera troupe. Lui stentoreo, metodico, estremamente ‘british’ nell’aspetto e nel metodo. Per parafrasare il film, “lui è un grande attore che cerca disperatamente di diventare una star, lei una star che cerca disperatamente di diventare una grande attrice”. “Ma io – specifica il regista – credo che lei già fosse, potenzialmente, una grande attrice. Stava facendo del suo meglio, si sforzava di riprendere il controllo della sua vita e della sua carriera, si era sposata, si era trasferita in Inghilterra e puntava tutto su questa esperienza con Olivier che, credeva, le avrebbe donato una nuova credibilità. Il mio film è anche la storia di come tutte queste speranze sono state disilluse. Nel film c’è anche Vivien Leigh, la più bella e famosa attrice di Hollywood che, a soli 43 anni, si sente vecchia e sorpassata. Lo show-business è crudele. Forse anche Marilyn, se fosse arrivata a quell’età, avrebbe provato le stesse sensazioni. Certo anche Olivier non l’ha aiutata. Era molto duro con lei, certo aveva le sue ragioni, lei era sempre in ritardo e lui aveva tempi strettissimi, ma un buon regista dovrebbe saper andare incontro ai suoi attori. Ma, pur essendone come tutti affascinato, non riusciva a capire il suo metodo. Lei in quel periodo studiava lo Stanislawsy, con la sua coach Paula Strasberg, che vedeva anche un po’ come la madre che non aveva mai avuto. Olivier era ovviamente molto più tradizionale”.


Billy Wilder, che diresse Marilyn in A qualcuno piace caldo e Quando la moglie è in vacanza, si lasciò scappare una volta una battuta cattivissima: “I suoi matrimoni sono falliti per motivi opposti. Joe Di Maggio ha scoperto che lei era Marilyn, Arthur Miller ha scoperto che non lo era”. “Quando scoprono che non sono lei dice Michelle Williams nel film scappano tutti”. Curtis ha colto perfettamente la dualità del personaggio, le sue contraddizioni. “Del resto – conclude scherzando Curtis – Billy Wilder diceva anche: ‘La mia zia di Vienna è una persona puntualissima, ma nessuno la vorrebbe sul set!”.

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01 Novembre 2011

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