Ha letto tanto e di tutto, a partire dal romanzo biografico di Antonia Fraser, ma poi ha messo tra parentesi la verità storica, senza timore di cadere nell’anacronismo, come capita quando l’Opéra Garnier, costruita solo nel 1874, cioè quasi cent’anni dopo, diventa lo scenario di un grande ballo in maschera. Sofia Coppola, 35 anni, ha già collezionato un discreto numero di premi compreso l’Oscar per la sceneggiatura di Lost in translation, ed è la terza donna che l’Academy abbia candidato come regista dopo Lina Wertmuller e Jane Campion. Ha una discreta idea di sé, ma tutte le insicurezze di una ragazza intelligente cresciuta nel gotha del cinema americano: papà Francis Ford la marcava stretto durante la conferenza stampa qui a Cannes. Al Festival ha portato il suo terzo film, un giocattolo pop-rock da 40 milioni di dollari, prodotto dalla Columbia con soldi giapponesi e francesi. Maria Antonietta, uno dei film più desiderati, ha un po’ deluso, ma ha pur sempre la grandeur della corte che racconta, quel gruppo di aristocratici che ballavano sul Titanic, alla vigilia della rivoluzione più simbolica della storia occidentale. Un film che gronda bellezza e gioventù come la sua protagonista, Kirsten Dunst.
Sofia di ghigliottine e Robespierre non ne vuole sapere. L’ha affascinata, grazie a un racconto di un amico di papà, il grande scenografo Dean Tavoularis, il personaggio di questa bambina viziata e allegra per forza, circondata di sprezzanti adulatori e servi sciocchi, costretta a vivere accanto a un marito anche lui adolescente che per sette anni l’ha sessualmente ignorata facendola accusare dal mondo di essere frigida o sterile. Maria Antonietta, così racconta il film, si consolava con pasticcini, cagnolini, scarpette e acconciature fiorite: quasi una fashion victim ante litteram nei costumi lussureggianti disegnati dalla nostra gloria internazionale Milena Canonero, che ha cercato, dice, di non essere mai accademica, ma fresca e ammiccante.
Certo, Versailles era un postaccio per l’austriaca spedita in matrimonio al Delfino di Francia (il futuro Luigi XVI) a 14 anni da una madre mostro (così la definisce Marianne Faithfull, che la interpreta). Quasi una “vergine suicida”, per citare il primo film di Sofia, che la rivelò qui a Cannes, alla Quinzaine nel ’99. Insomma una ragazza sola, incompresa, molto ingenua anche se ricca sfondata e simpatica. Talvolta ribelle suo malgrado: bastava una risata o un applauso per scandalizzare le cariatidi di quella nobiltà decadente e appassita. Avvolta giorno e notte in un lusso ridicolo e in un cerimoniale onnipresente, Maria Antonietta “divenne un capro espiatorio della sua epoca, con la celebre frase che qualcuno le ha messo in bocca per sempre, il popolo vuole pane, dategli le brioche”. Nel film, girato nella Reggia di Versailles il lunedì, giorno di chiusura ai turisti, portando la mdp persino nella camera da letto dei re, ognuno parla con il suo accento “come su un set degli anni ’60 e ’70”. C’è anche Asia Argento, “una Madame Du Barry molto sensuale e in totale contrasto con il resto della corte, che infatti la odia”. È la favorita del vecchio re Luigi XV e a lei spetta l’unica frase d’amore pronunciata nelle due ore del film.
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