Marco Ferreri: pericoloso ma necessario

Anselma Dell'Olio firma La lucida follia di Marco Ferreri a 20 anni dalla scomparsa del regista, su idea della costumista Nicoletta Ercole che ha coprodotto il film. Lo distribuisce Luce Cinecittà


VENEZIA. “Scorbutico, iracondo, cinico, torvo assai, sputa sul cielo, sull’autorità, crollano i miti e le certezze bombardate dal gran veterinario, agli attori non dà un’indicazione”. Così una poesia sincera di Roberto Benigni ricorda ne La lucida follia di Marco Ferreri (Venezia classici-Documentari sul cinema) il regista a 20 anni dalla scomparsa.
E’ firmato dalla giornalista Anselma Dell’Olio, che ha raccolto la proposta di Nicoletta Ercole, costumista del regista, e che ha coprodotto il film. Distribuito da Luce Cinecittà, che figura anche tra i produttori, La lucida follia di Marco Ferreri, dopo l’uscita in sala, si vedrà il 9 maggio 2018 su Sky Arte HD, il giorno della sua scomparsa.

Oltre che un omaggio non rituale è un viaggio intenso nel mondo creativo di Ferreri, costellato di censure, contestazioni, accuse ingenerose. Un viaggio realizzato con straordinari materiali di repertorio (backstage dell’Istituto Luce, Raiteche e archivi francesi, alcuni inediti in Italia) come la vivace conferenza stampa al Festival Cannes o la combattiva difesa de La grande abbuffata da parte di Michel Piccoli in tv.
Poi ci sono le testimonianze nuove – Roberto Benigni, Hanna Schygulla, Isabelle Huppert, Andréa Ferreol, Ornella Muti, Sergio Castellitto  – sul suo modo di dirigere gli attori; i ricordi di fidati collaboratori come il musicista Philippe Sarde, il regista Radu Mihaileanu, lo scenografo Dante Ferretti, infine lo sguardo acuto del critico Serge Toubiana.
Non mancano sequenze di alcuni suoi film tra cui El cochecito, La cagna, L’ultima donna, Dillinger è morto, La grande abbuffata, Chiedo Asilo, Ciao maschio, Storia di Piera, La donna scimmia. Insomma è il ritratto appassionato di un regista che all’origine avrebbe voluto diventare veterinario e che si ritrova regista con l’obiettivo di “mettere sotto il microscopio l’uomo e la donna”.

A New York lei ha conosciuto e lavorato con Ferreri per Ciao maschio. Un ricordo per capire l’artista?
Nel film interpreto un piccolo ruolo, sono una delle femministe che a tavola spacca una bottiglia sulla testa di Gérard Depardieu; all’epoca faceva proprio la regista di un teatro femminista proprio come nel film. Ferreri non chiedeva mai il curriculum alle persone, nel mio caso Elio Petri aveva fatto il mio nome. Ferreri doveva girare a New York, dove io vivevo, Ciao maschio, e cercava una dialoghista per le riprese, e per fargli da aiuto regista per i dialoghi, sovente riscritti prima di un ciak perché aderissero meglio ai diversi attori e attrici. Quando ti incontrava la prima volta, ti guardava negli occhi e ti valutava e così ha fatto con me.

Com’era sul set?
Sebbene fosse spiritosissimo, lui non amava parlare, era un uomo di pochissime parole, diffidava delle parole, gli piacevano le immagini. Così sul set diceva poche cose, e se tu gli chiedevi delucidazioni, lui si girava e se ne andava. Stimolava così la tua creatività, forse non sapeva nemmeno lui che cosa volesse. Ero così costretta a elaborare idee e proposte che in un’altra situazione  mai avrei pensato.

Ferreri nel suo film rifiuta l’etichetta di regista provocatore. Come definirlo?
Un visionario sincero, lucido, un artista che vedeva dietro i paraventi, dietro l’ovvio, dietro la faccia pulita, brava, buona che presentiamo al mondo. Vedeva la verità. Leggeva il suo tempo molto prima di chiunque, tant’è che molti dicevano che venisse dal futuro. Aveva delle antenne raffinatissime.

Un esempio?
Nel ’77 quando cominciava il movimento femminista, lui non solo aveva già capito quello che sostenevano le femministe, ma sposava le loro tesi e vedeva lo svuotamento del ruolo maschile, di cui oggi tanto si parla. Aveva capito che noi femministe con la nostra dialettica avevamo segnato il mondo. Aveva compreso che in questo gioco di potere con il maschio, vinceva la donna perché procrea e anche senza il maschio. Era un visionario e un filosofo, i suoi film sono pieni di idee sul mondo, oltre che di immagini bellissime. Era un esteta ma di questo si parla poco.

Più che dimenticato, lei parla di un regista rimosso nel nostro paese.
Marco era uno che dava fastidio, che destrutturava il sistema. Mostrava le persone per quello che sono, diceva la verità portando il discorso fino alle estreme conseguenze.

Un regista prolifico.
In 38 di carriera ha firmato 35 lungometraggi. All’inizio alcuni non capivano perché volessi mettere nel film quell’accenno al padre capo ragioniere. Lui nasce come organizzatore e produttore, per Antonioni. Ferreri sapeva far di conto, non a caso in un’intervista, utilizzata dal film, chiede al giornalista che lo sta intervistando se conosce il costo della pellicola al metro, o il prezzo di una costruzione scenografica. Ferreri sapeva tutto dal punto di vista tecnico.

All’epoca è stato accusato di sciatteria?
Sì, di non curare i dettagli. In verità certe bellurie non lo interessavano. Quando aveva girato quello che voleva dire e mostrare, non tornava più sull’inquadratura, spesso erano sufficienti tre ciak. Ecco perché il regista e produttore Radu Mihăileanu, all’epoca suo aiuto, afferma che il suo unico difetto era l’impazienza. Anche se avanzava un’ora di riprese, Ferreri preferiva smettere.

Il titolo in inglese del film è diverso, Marco Ferreri: dangerous but necessary.
Io adoro le parole, sono una cultrice della parola e il titolo italiano tradotto in inglese suonava male, mentre in francese funziona. L’idea è venuta al montatore perché nel film c’è questa dicitura usata da Ferreri in un’intervista alla tv francese. Pericoloso perché scombinava il sistema, necessario perché diceva la verità.

Tra le testimonianze ne manca qualcuna che avrebbe voluto?
L’attrice Marina Vlady che è la protagonista con Ugo Tognazzi de La donna scimmia. Peccato perché lei sa parlare, è molto intelligente ma non siamo riuscite a incontrarci.

Ferreri rimosso dagli italiani e mai dimenticato dai francesi, perché?
Intanto con Dillinger è morto è diventato per i francesi l’autore per eccellenza e i francesi, a differenza degli italiani, conservano la memoria. Il critico Serge Toubiana, che ben conosce il nostro cinema, sostiene che alla critica italiana piace molto la figura del maestro come Fellini, Antonioni, Visconti. Ferreri è il contrario del maestro, è colui che scardina il sistema.

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