TRIESTE – Siamo a Trieste, ShorTS è un festival espressamente dedicato al cortometraggio, ma dove la sezione Nuove Impronte pone la propria attenzione al lungometraggio, mettendo luce sulle opere di autori emergenti. Per lei Vinicio Marchioni c’è differenza tra giudicare dei corti e dei lungometraggi?
Le differenze sono molteplici. Il cortometraggio è il formato, il luogo della sperimentazione, in cui si possono fare delle cose che per un lungo è più complesso realizzare. I cortometraggi stanno diventando sempre più degli estratti prima del lungometraggio ma della stessa storia: personalmente, invece, mi piace moltissimo quando il corto è una piccola storia che si autoconclude, ed è molto complicato, perché sviluppare in pochi minuti un racconto filmico che includa lo spettatore non è semplice, rispetto al lungo, proprio per la sua essenza di maggiore durata, di suddivisione in generi, modalità narrative, un po’ più stereotipate.
Per Nuove Impronte, quali linee guida vi siete dati con il resto dei colleghi della giuria, per valutare? Cosa ‘cercate’ negli 11 film italiani che vi sono stati sottoposti?
bbiamo cercato di mantenere il focus sul claim di questa sezione, Nuove Impronte: questo ci ha influenzato, fortissimamente. Poi è stata una selezione che mi ha sorpreso, perché non scontata, ci sono film differentissimi, per struttura, forma, contenuto, tutti uniti in uno sguardo sulla gioventù. 11 film veramente diversi l’uno dall’altro: per fortuna con Guzzo avevamo già fatto una giuria insieme e quindi c’è stata empatia; Alessio Cremonini è un uomo e un regista con una sensibilità sorprendente; Elena Cucci è un’attrice di intelligenza e ironia fuori dal comune, quindi è stato più facile di quanto pensassi, anche grazie alle molte email che ci siamo scritti prima di arrivare qui a Trieste.
Quando è chiamato a essere giurato, si immedesima nei ruoli artistici che va a giudicare, o fa altre valutazioni
Cerco sempre di mettermi dall’altra parte, cerco sempre di domandarmi quanto il giudizio di una giuria possa aiutare un film, in che modo. Cerco sempre di chiedermi che processo abbia fatto il regista per fare quella scelta specifica: difficilmente riesco a dare un giudizio asettico.
È stato chiamato a giudicare dei lungometraggi, ma ShorTS ha il suo cuore nel cortometraggio e lei ha un legame personale/artistico con il film breve: è una buona palestra, in Italia, per un attore/regista emergente? È un passaggio propedeutico reale al fine professionale concreto?
Lo può essere, anche se non è scontato che se lo fai poi tu riesca a fare il lungo. Io l’ho fatto, e lo sto facendo, il corto: ne abbiamo già girato uno, con Milena Mancini, alcuni anni fa, in bianco e nero, in pellicola, montato direttamente in macchina come si usava fare e penso ne faremo un altro in autunno, prima di provare a fare il mio lungo, perché sono uno di quelli che crede molto nei piccoli passi, poi può essere vada differentemente, ma penso che per chi vuole esordire sia una buona palestra, oltre che più semplice e divertentissimo.
E il suo prossimo corto, è un progetto concreto?
Sì, già abbiamo la sceneggiatura. È una storia semplicissima e profondissima, scritta da Milena Mancini e me, e penso ci piacerebbe molto girarlo ed essere noi due i protagonisti, perché funzionale alla storia: una giovane coppia, in un giorno di un pranzo importante per loro due, in cui piano piano c’è qualcosa che non va… in lei, si capisce che c’è un problema. È un corto che vorrebbe parlare dell’alzheimer, dal punto di vista di persone giovani. E intorno a loro, nel piccolo paesino in cui vorremmo girare, sarebbe bello mettere delle coppie anziane che stanno da Dio. Tutto in chiave leggera, poetica, di commedia.
Per un attore/regista affermato, cimentarsi nel corto cosa significa? È un dovere alimentare il cinema ‘dal basso’, inteso anche con progetti più piccoli?
Penso che sia così, e lo penso anche per le opere prime. Molto spesso un attore, anche se ha la fortuna di essere entrato nell’ingranaggio, trova ruoli bellissimi più nei cortometraggi: si trova qualcosa di stimolante, interessante, che si fa molta più fatica nel panorama delle sceneggiataure dei lunghi. Questo sia nei corti sia nelle opere d’esordio, e personalmente ne ho fatte moltissime: ho fatto dei corti come attore e non faccio differenza, è il raccontare una storia l’importante; se mi risuona dentro e sento che può farmi aprire degli aspetti che non ho mai toccato fino a quella storia, perché non farlo? Tutti noi dobbiamo qualcosa in termini di gratitudine alle ‘opere piccole’, io stesso ho iniziato con una prima, 20 sigarette, che mi ha dato la patente per il cinema.
C’è differenza di percezione del corto in Italia e all’estero?
È un discorso un po’ più ampio, perché in Italia sembra che non diamo importanza a niente, mentre appena esci dall’Italia c’è un’attenzione e una cura per cui ogni singola cosa fa parte di un ingranaggio che ha a che vedere con la cultura, la tradizione, la vita quotidiana. In Italia penso ci sia un’attenzione al corto, ci sono festival dedicati, ShorTS tra i primi, però il problema è sempre il far passare queste opere nella quotidianità del pubblico. Rimane sempre un evento difficile da far entrare nel tessuto quotidiano delle persone. Mentre, se vogliamo riappropriarci di questo Paese, che è la culla della civiltà di tutta Europa, dobbiamo impegnarci, prima di tutto noi che facciamo questo lavoro, a farlo rientrare veramente nella quotidianità: invece che darci appuntamento in una sala giochi, diamoci appuntamento in un teatro, in un cinema!
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