C’è un cortocircuito d’affinità e contiguità tra l’opera di Anton Čechov, il dramma dei sismi italiani recenti e il teatro di Vinicio Marchioni: in principio è stato Uno zio Vanja, spettacolo teatrale che l’attore romano ha diretto, adattando – con Letizia Russo e Milena Mancini – l’opera dell’autore russo alle tematiche del dramma umano causato dalla naturale, quanto feroce, aggressione che un sisma può comportare, dal più recente di Amatrice, al decennale de L’Aquila, uno dei luoghi di messa in scena della tournée e da cui, in fondo, sono scaturiti la desolazione e il senso d’impotenza dell’essere umano e dell’artista Marchioni, quindi la necessità di dare anche una forma filmica al soggetto. Nasce così Il terremoto di Vanja – Looking for Čechov.
Il docufilm concerta il dietro le quinte dello spettacolo, il racconto off di Marchioni, sequenze in bianco e nero dei giorni trascorsi in Russia sulle tracce di Čechov, testimonianze di storici (Fausto Malcovati) e artisti (Andrej Končalovskij, Gabriele Salvatores) che hanno un rapporto speciale con l’autore di Taganrog, e un “dialogo” tra Vinicio e Anton, animato in forma di voce da Toni Servillo.
C’è infatti un primo atto di ammirazione, quasi affetto e gratitudine, che Marchioni compie nelle prime sequenze di questo film che, con efficacia, mescola generi e linguaggi: una lettera, che l’attore scrive a Čechov, e che dà il la alla disquisizione tutta del racconto, grazie al dialogo immaginario tra i due.
Marchioni, in un lungo, approfondito e pregresso studio dell’opera di Anton Čechov, ha individuato parole, passi, tragicommedia, sentimenti di affinità, tra gli scritti del maestro – e medico – russo e la sua indagine umana e sociale sulle conseguenze del sisma nella nostra Italia, un Paese preparato a questa imprevedibilità della Natura, eppure ancora vittima della stessa, soprattutto in quegli squarci interiori che, più profondamente di quelli incisi nelle crepe delle pareti delle case crollate, sono ferite vivissime nelle persone.
Il terremoto di Vanja debutta in Riflessi, alla presenza del suo autore, non solo regista ma anche interprete e produttore e alla sua opera prima dietro la macchina da presa: “Il viaggio è iniziato 5 anni fa per mettere in scena Zio Vanja, uno spunto che mi faceva pensare alla condizione italiana; nell’agosto 2016 arriva il crollo di Amatrice e parlando con amici di Macerata ci siamo accorti che chi aveva subìto il dramma parlava come i protagonisti di Zio Vanja. Si è trasformato molto il progetto, 5 anni fa non immaginavo di andare nei luoghi di Čechov, e andando in quelli del terremoto abbiamo sovrapposto una famiglia di terremotati con quella di Čechov: così, come la più giovane dei protagonisti di Zio Vanja decide di rimanere nella piantagione, molte persone vittime del terremoto hanno deciso di restare. Non volevamo fare un documentario di denuncia, ma avere l’istinto e la compassione verso gli esseri umani che erano già di Čechov”.
“Non è stato un lavoro facile, a partire dal fatto che io di teatro non so nulla, ma forse questo è stato una miccia, anche per capire come si gira il cinema a teatro. Questo ha creato più linee narrative all’interno di uno stesso progetto: abbiamo usato i fotogrammi fotografici come se fossero foto in soggettiva di Čechov; anche la scelta del bianco e nero è una scelta per rispettare l’essenzialità della Russia che abbiamo visto noi”, spiega Pepsy Romanoff, per il film dop, co-produttore, sceneggiatore e showranner.
“Vinicio riusciva a trasformare l’ambiente di un museo in un racconto visuale, in fondo tradendo Čechov escludendo la parola, ma rendendolo presente nei dettagli, per qualcosa che è un’opera ibrida che va oltre cinema e teatro; la Russia ha accolto il progetto con gratitudine, la stessa con cui Marchioni è venuto da noi”, racconta la line producer russa, Aliona Shumakova.
“È un film sulla resistenza dei sogni e delle speranze, e per me è stato importante supportare l’ossessione di Vinicio per Anton Čechov, incluso lasciarlo solo in alcuni momenti, come il viaggio in Russia”, dice Milena Mancini, che ha scritto e co-prodotto lo spettacolo e il film del marito, che chiosa omaggiando l’apertura della sua opera prima: “Tutta la collaborazione vive intorno alla frase che inizia il film: ‘Quelli che vivranno dopo di noi, fra due o trecento anni e ai quali stiamo preparando la strada, ci saranno grati? Si ricorderanno di noi con una parola buona?’ chiede Anton Čechov”.
Parola al premio Oscar Ron Howard, regista di Pavarotti, documentario biografico in Selezione Ufficiale alla Festa di Roma 2019, stasera in prima serata su Rai Uno: materiale familiare inedito, interviste originali, tra cui a Nicoletta Mantovani, alle tre figlie e alla prima moglie, e a Bono Vox, un racconto franco e celebrativo, intimo e pubblico
Bilancio positivo per il festival dedicato ai ragazzi, che ha registrato un incremento del 29% alle biglietterie, 6000 biglietti in più rispetto al 2018. "Nel tempo siamo riusciti a costruire un rapporto diretto e autentico con tutto il pubblico, partendo dalle scuole, fino ad arrivare agli accreditati e alla critica". Così dichiarano i direttori Fabia Bettini e Gianluca Giannelli
Il premio è stato consegnato ai due registi belgi durante la 17ma edizione di Alice nella Città da Angela Prudenzi, Francesca Rettondini e Cristina Scognamillo
CECCHI GORI - Una Famiglia Italiana: dopo la mostra fotografica, la Festa ospita il documentario, per la regia a quattro mani di Simone Isola e Marco Spagnoli, prodotto da Giuseppe Lepore per Bielle Re, che ha curato la realizzazione dell’intero progetto dedicato alla dinastia che ha fatto grande parte del cinema italiano