Essere figli d’arte può essere un’esperienza molto bella, ma anche un grande peso. È da questo presupposto che Silvia Toso ed Evelina Nazzari, figlie di due grandi attori del cinema italiano, Otello Toso e Amedeo Nazzari, stanno realizzando un’opera originale e sorprendente: raccogliere tante testimonianze di chi come loro ha vissuto il legame con la settima arte in maniera speciale, attraverso il lavoro dei propri genitori, un padre, o una madre – talvolta anche qualcuno in più in famiglia – che invece di recarsi in ufficio tutte le mattine, aveva scelto come luogo di lavoro il set cinematografico.
Figli di attori, produttori, registi (il loro nome è ancora top secret), che a loro volta sono stati dei professionisti del mondo dello spettacolo, portando sulle spalle un nome talvolta famoso quanto ingombrante. Questi racconti prenderanno forma nel volume Fratelli d’arte, che sarà pubblicato nel 2014 dalla Cineteca di Bologna, che proprio durante il festival de Il Cinema Ritrovato ha ospitato le due autrici per la presentazione del progetto. Una vera e propria storia parallela del cinema italiano che conferma come la storia orale in certe occasioni sia il modo più appropriato e divertente per trasmettere la vera essenza di quello che ha rappresentato lo spettacolo nel nostro paese. “L’idea di questo libro – spiega Silvia Toso, per anni curatrice della trasmissione radiofonica Hollywoodparty – mi è venuta quando sono andata in pensione. Avendo tanto tempo a disposizione ho cercato di sfruttarlo nel migliore dei modi, facendo quello che per tutta la vita non avevo mai avuto modo di fare, ovvero dedicarmi a mio padre. Mi sono poi ricordata della sua amicizia con Amedeo Nazzari, anche se sullo schermo erano quasi sempre antagonisti, e di sua figlia che si è dimostrata da subito molto entusiasta del progetto”.
Silvia Toso suggerisce inoltre che questo volume potrebbe essere solo l’inizio di un lavoro molto più ampio, che, sempre supportato dalla Cineteca, potrebbe coinvolgere molte più realtà ed essere declinato attraverso altre formule. Evelina Nazzari ha invece sottolineato come sia stato interessante, attraverso le tante interviste che sono state fatte fino ad ora, riscoprire una parte importante del proprio passato: “Io sono sempre stata una persona timida – afferma – ed essere figlia di un divo mi ha creato molti imbarazzi; quindi ascoltare il vissuto di altri che hanno vissutola mia stessa esperienza, in questo senso, mi è stato d’aiuto, facendomi conoscere persone sia simili sia molto diverse da me”.
Altra figlia d’arte che il Festival di Bologna ha ospitato in questi giorni è stata Mara Blasetti, che ha presentato al pubblico due film fondativi per la storia del cinema italiano del dopoguerra: l’episodio Il processo di Frine, tratto da Atri tempi (in cui, per il personaggio della Lollobrigida, De Sica coniò il termine di “maggiorata fisica”) e Peccato che sia una canaglia che metteva insieme un cast eccezionale composto da De Sica, Sofia Loren e un Marcello Mastroianni agli esordi. Mara Blasetti negli ultimi anni si è sempre fatta trovare presente quando si è trattato di celebrare la memoria del padre, che nel cinema italiano è stato il regista con la visione d’insieme più profonda e importante, essendo stato critico, produttore e anima del Centro Sperimentale, nonché attore d’eccellenza per alcuni illustri colleghi (memorabili i suoi camei in Bellissima di Luchino Visconti e in Una vita difficile di Dino Risi) e in questa occasione ha ricordato le grandi difficoltà incontrate dal genitore per la realizzazione delle due pellicole: “Altri tempi mio papà l’ha voluto fare con tutte le sue forze, ma nessuno si fidava di un film a episodi basato sulla novellistica dell’Ottocento. Già allora erano in molti ad avere la puzza sotto il naso. Ma lui non si è dato per vinto e tanto ha fatto che è riuscito a trovare Civallero, un produttore illuminato della Cines che ha creduto nel progetto, diventato poi uno delle sue opere più famose grazie proprio a Il processo di Frine”. La Blasetti – che nella sua vita è stata anche una straordinaria organizzatrice di film, tra i tanti anche i primi 007 – ha inoltre spiegato che il padre ha sempre faticato nel proprio lavoro perché da sempre “precursore di strade nuove” che spesso “facevano paura”. Così fu anche per Peccato che sia una canaglia che spaventava i finanziatori per la presenza di Vittorio De Sica, all’epoca delle due pellicole appena reduce dagli insuccessi di Miracolo a Milano e Umberto D. e che invece, dopo il lavoro con Alessandro Blasetti, si riappropriò sia della propria carriera di attore sia di quella di regista.
Il film diretto da Vittorio De Sica nel ’61 è stato restaurato in 4k da Cinecittà e Filmauro, con la supervisione di Andrea De Sica. Per l’anteprima alla Festa del Cinema di Roma, le parole del nipote e del figlio, Brando e Christian De Sica
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