CANNES – E’ una potente incursione nel cuore profondo di una vicenda poco conosciuta della seconda guerra mondiale, A Hidden Life di Terrence Malick, tratto dalla vera storia del contadino austriaco Franz Jägerstätter (August Diehl), obiettore di coscienza che rifiutò di combattere e giurare fedeltà al nazismo e venne, per questo, accusato di tradimento e poi ucciso dal regime. Nato e cresciuto in un piccolo villaggio austriaco di appena cinquecento anime vicino al confine con la Germania, in una regione in cui il cattolicesimo era profondamente radicato, Franz viveva una vita semplice insieme alla moglie Franziska (Valerie Pachner) e alle loro tre figlie, testimoniata da scene di felicità bucolica e familiare, in cui a dominare è una natura spettacolare e maestosa, in cui gli uomini sono esserini piccoli piccoli, ma liberi.
Tutto procede come in una favola, fino a quando il 12 marzo 1938 l’ottava armata della Wehrmacht tedesca attraversa il confine tedesco-austriaco, aiutata dal movimento nazista locale e sostenuta dalla stragrande maggioranza della popolazione austriaca. Da quel momento in poi tutto cambia, e Franz è l’unico del suo paese a votare prima contro l’annessione alla Germania di Hitler e poi, una volta scoppiata la Seconda Guerra Mondiale, a rifiutarsi di arruolarsi e prestare giuramento ad Adolf Hitler e al Terzo Reich. ‘La sofferenza che ci capita per caso è diversa dalla sofferenza che si sceglie’, dice, a prova della sua lucida consapevolezza, nella fitta corrispondenza con la moglie che si può leggere nel libro Franz Jägerstätter: Lettere e Scritti dalla prigione, a cura di Erna Putz (Orbis Books), su cui si basa il film.
Cattolico e convinto anti-nazista, Jägerstätter non riteneva lecito uccidere altre persone per preservare la sua vita e il bene della sua famiglia, un atto di disobbedienza che lo portò, consapevolmente, ad essere condannato a morte dai nazisti. Sorretto dalla sua fede e dall’amore per la sua famiglia, che però non può più vedere, l’uomo va incontro a un destino incerto e alla solitudine, pur di non tradire i suoi ideali. Viene portato in prigione, prima a Enns e poi a Berlino, e aspetta mesi per il suo processo, durante i quali inizia la fitta corrispondenza con sua moglie per darsi forza. Dopo mesi di brutale incarcerazione, il suo caso va in giudizio, e giudicato colpevole e condannato a morte. Nonostante molte opportunità di firmare il giuramento di fedeltà, Jägerstätter continua a difendere le sue convinzioni ed è giustiziato dal Terzo Reich nell’agosto del 1943. Man mano che il film va avanti l’ambientazione diventa sempre più claustrofobica e oscura, gli spazi si riducono, la camera va addosso ai protagonisti, quasi a togliergli il respiro il respiro. La natura stessa sembra perdere parte della sua grandiosità.
“È uno dei film più emozionanti nella mia carriera professionale”, ha sottolineato August Diehl durante la conferenza stampa al Festival dove era assente, come c’era da aspettarselo, il regista Palma d’Oro per The Tree of Life. “Non lo ritengo, però un film sugli eroi – ha continuato – ma piuttosto sulle scelte personali e silenziose, legate all’invisibilità del privato e non alla notorietà dell’eroe. È anche un film sociale sulle persone che, senza mentre tutti gli altri acconsentono, senza giudicarli si fermano e dicono no, perché sentono che c’è qualcosa di sbagliato. Un tema attuale, specialmente nell’Europa di oggi con gli sviluppi storici cui assistiamo. Ma non è qualcosa solo di politico, riguarda più in generale l’approccio personale, il capire che ci sono cose giuste e cose sbagliate da fare, e che non occorre salire per forza sul treno del vincitore se sta pendendo la direzione sbagliata”.
Quella di Franz Jägerstätter è, difatti, una resistenza solitaria. L’uomo sapeva benissimo che il suo sacrificio non avrebbe fatto la differenza sulle vicende storiche, ma va avanti lo stesso, subendo lo sguardo accusatorio di tutti: dei suoi vicini che ritengono la disobbedienza un atto di follia incomprensibile, di parte della sua famiglia che lo ritiene quasi un peccato (la stessa madre arriva a rinnegarlo), o della comunità che lo vive come un tradimento. Persino la Chiesa non si schiera contro il servizio militare e la stessa moglie, Franziska Schwaninger, pur rimanendogli fino alla fine complice e devotamente vicina, prova a fargli cambiare idea: “Tu non cambierai il mondo con questo gesto. Non lo cambierai e io ho bisogno di te”, gli dice. Nonostante tutto Franz continua a difendere le sue convinzioni, e lo fa perché le ritiene giuste.
Nel cast del film anche Matthias Schoenaerts, Michael Nyqvist e Bruno Ganz nella sua ultima interpretazione.
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