Malarazza, nell’inferno di Librino

“Ho fatto un film duro perché l’era dei gattopardi deve finire. Sono stufo delle opere buone. L’unico modo per fare aprire gli occhi alla gente è sbattergli davanti alla faccia la dura realtà”. Il regista Giovanni Virgilio parla così della sua opera seconda, Malarazza, per cui vorrebbe un futuro seriale in tv, in vista dell’uscita nelle sale il 9 novembre, distribuito in 35 copie da Mariposa Cinematografica. Il film mette al centro del dibattito la periferia catanese, quella dei disagiati sobborghi (Librino) e dei quartieri degradati del centro (San Berillo). “L’ultima volta che ho girato lì era nel 2008 quando ero un produttore – prosegue Virgilio – Ci sono persone dimenticate dallo Stato, ma che hanno voglia di cambiare. Le amministrazioni ci provano, ma non sempre ci riescono”.

Ed ecco la storia: una giovane madre (Stella Egitto), suo figlio Antonino (Antonino Frasca Spada) e il fratello della donna (Paolo Briguglia, nei panni del transessuale Franco) sono vittime di un sistema di potere malavitoso rappresentato dal boss in declino Tommasino Malarazza (David Coco) e da Pietro (Cosimo Coltrato), detto U Porcu. Per loro sembra non esserci alcuna speranza di riscatto sociale. “Tommasino è il personaggio più subdolo. Lui toglie totalmente la vita a sua moglie: la controlla, le fa perdere il lavoro e la massacra di botte”, dice il regista. Stella Egitto, nel ruolo di una donna considerata alla stregua di un oggetto dal marito, aggiunge: “Lui le toglie il figlio perché sa che è il modo più violento per farle del male. Quando lui le mette le mani al collo lei decide di tirare fuori la testa dall’acqua e di andarsene da suo fratello. E’ una storia di personaggi vinti e la sua forza è quella di rinunciare a qualsiasi forma di compiacimento raccontando uno spaccato reale”.

“Librino è un ‘non luogo’, lì un personaggio come il mio è il prototipo di quello che vogliono essere queste persone. Lì si dice: Commannare è meglio che fottere”, afferma Cosimo Coltrato a proposito del suo ruolo da boss. Paolo Briguglia, nei panni di un transessuale, dice che per entrare nella parte ho lavorato a strati. “Prima sono andato al centro estetico per farmi depilare, poi ho cercato di modificare i miei movimenti e la mia voce”. Al suo debutto cinematografico c’è invece il giovane Antonino che è stato scelto dal regista dopo un casting di oltre 500 ragazzi: “E’ entrato e non parlava. Poi mi ha detto che faceva l’alberghiero e il boyscout. Per me è stato amore a prima vista”.

In questo ritratto di un’umanità disperata la musica, realizzata dal compositore Giuliano Fondacaro, gioca un ruolo molto importante: dal rap alla bossanova fino al neomelodico, che è il genere più ascoltato nelle periferie di Catania. E c’è anche un brano, intitolato ‘O pensamento de voce’, di Arisa che canta per la prima volta in portoghese.

“Librino è a sei chilometri dal centro di Catania. Non abbiamo chiesto permessi per girare lì. Ho riscoperto tante cose nelle periferie come per esempio l’unità delle famiglie che la domenica si riuniscono per mangiare insieme la pasta al forno”, dice Virgilio che ha anche girato un documentario (in post-produzione) sul quartiere in cui ha seguito il lavoro di un gruppo di giovani architetti scelti da Renzo Piano attraverso un bando sui fondi provenienti dal suo stipendio di senatore a vita al quale ha rinunciato dal 2014.