CANNES – Al netto delle polemiche con tanto di hashtag (#CannesYouNot) per la presenza di un divo contestatissimo e al centro di un processo per violenza domestica, Johnny Depp ha regalato al 76° Festival di Cannes un red carpet di quelli che restano (con tanto di sue lacrime di emozione per i sette minuti di applausi) e un’apertura mediaticamente bollente.
Ma, occorre dirlo subito, il film di Maiwenn, non lascia altrettanto il segno e finisce anche per annoiare. Circondato da un cast di ottimi attori francesi, tra cui Pierre Richard, Pascal Greggory e Melvil Poupaud, l’americano indossa con compiaciuta distanza il ruolo del Re Luigi XV, sovrano annoiato e libertino, circondato da una corte segnata da rituali vuoti. Sceglie come sua amante la figlia illegittima di un prete e di una cuoca, come ci racconta una onnipresente voce fuori campo nel preambolo sulle origini di Jeanne, poi modella per artisti, poi prostituta d’alto bordo, poi contessa du Barry grazie a un matrimonio di convenienza reciproca (lui acquista influenza a corte oltre a ricevere una bella somma di denaro).
Per la regista e attrice francese, già musa adolescente e poi moglie di Luc Besson, questa operazione ha il sapore di una auto consacrazione, di una vendetta per interposta persona: l’arrampicatrice sociale Jeanne appare infatti l’unica donna dotata di cuore e sentimenti dentro il contenitore impeccabile ma arido di Versailles, nido di vipere per eccellenza. Quando la portano a corte per la prima notte con il sovrano, il solerte La Bord (l’ottimo Benjamin Lavernhe) la istruisce su come si dovrà comportare con il re: mai rivolgergli le spalle, rinculando con un ridicolo passetto all’indietro, mai guardarlo negli occhi. Ma lei, che si sottopone anche a visita ginecologica per essere decretata degna del letto regale (“ho avuto molti uomini, ma uno alla volta”, risponde arguta al ginecologo questa Pretty Woman ante litteram), disattende tutte le istruzioni. Ed è forse proprio la sua spavalderia a conquistare Luigi, che le permette di assistere al rito del suo risveglio attraverso un finto specchio e che si divertirà per tutto il film a vederla scandalizzare e spiazzare i cortigiani ‘vil razza dannata’ e persino le sue acidissime figlie.
Le Roi s’amuse, dunque. Ma anche Mon Roi, per citare un titolo della Maiwenn regista premiato a Cannes nel 2015 per l’interpretazione femminile di Emmanuelle Bercot, storia d’amore disfunzionale e masochista. La visione che la cineasta franco-algerina ci propone in questo suo kolossal da venti milioni di dollari vestito da Chanel e scelto da Cannes come apertura in pompa magna non è dissacrante come la Marie Antoinette di Sophia Coppola – titolo senz’altro ispiratore e dove vale la pena ricordare che la Du Barry era interpretata da Asia Argento – ma vuole essere altrettanto provocatoria. Anche, e soprattutto, riportando Johnny Depp al centro della scena.
Maiwenn non fa nulla per accattivarsi la simpatia del pubblico e della critica e tra le sue prodezze c’è anche il recente sputo ai danni di un giornalista scomodo. Ma il film ha una sua sincerità, appare infatti come una sorta di confessione pubblica e spudorata su come si possa usare il proprio corpo e la propria intelligenza per navigare nelle acque limacciose di un ambiente chiuso e ostile e fare anche carriera. Vedere l’arrivo della Delfina Maria Antonietta (Pauline Pollmann) che, manipolata dalle nemiche di Jeanne, rifiuta di rivolgerle la parola, mettendo in serio pericolo la sua scandalosa permanenza a Palazzo, ma anche la lunga sequenza dell’agonia del re, che prelude all’esilio in convento per la favorita ora caduta in disgrazia. Che finirà ghigliottinata, ironia della sorte, proprio poco dopo Maria Antonietta e Luigi XVI.
Jeanne du Barry La favorita del Re uscirà in Italia con Notorious Pictures.
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