Attraverso quali traiettorie sociali e psicologiche un ragazzo nato e cresciuto in un paese del Nord d’Italia può arrivare ad abbracciare all’Islam e, da lì, diventare un potenziale lupo solitario agli ordini della Jihad islamica? Il regista Federico Ferrone ha fornito una possibile risposta a questa domanda con La cosa migliore. Nel film si è cimentato in una lucida e rigorosa analisi del fenomeno della radicalizzazione jihadista tra i giovani occidentali. Prodotta da Apapaja in collaborazione con Rai Cinema e distribuita da Lo Scrittoio a novembre, l’opera è stata presentata alla 19esima edizione della Festa del Cinema di Roma nella sezione Alice nella città.
Mattia (Luka Zunic) è un ragazzo di 17 anni, perennemente imbronciato. E’ sensibile ma anche pieno di rabbia. A osservarlo nell’imprecisato paese del Trentino in cui vive, fa un po’ l’effetto di una bomba sempre sul punto di esplodere. Una di queste esplosioni costa la vita al fratello maggiore. Per sottrarre Mattia alla vendetta di un gruppo di spacciatori, Giuseppe muore in una precipitosa fuga in moto. Da allora la vita di Mattia diventa essa stessa una fuga, questa volta dal senso di colpa. Per espiare il suo errore, abbandona gli studi e occupa il posto in fabbrica del fratello, mortificando i talenti che pure avrebbe – è bravo a disegnare e a comporre canzoni hip hop. Nemmeno i rapporti con la famiglia sono granché. La mamma è sempre dalla sua parte ma con il padre, un vecchio sindacalista insoddisfatto, proprio non si intende. Il ragazzo finisce per sentirsi solo. Solo e sempre più arrabbiato.
Per sottolineare il senso di oppressione che lo affligge, in questa parte del film Mattia viene inquadrato sempre da vicino. Il cielo e l’orizzonte non si vedono mai. Si vedono, insieme ai primi sorrisi, solo quando Mattia va in Marocco, ospite di Murad, un collega conosciuto in fabbrica, e del misterioso fratello di quest’ultimo, Rachid. In Murad e Rachid, a Mattia pare di trovare tutto quello che la vita e la famiglia non gli hanno dato finora: solidarietà, affetto, comprensione. Mattia è così entusiasta che diventa musulmano.
E qui Ferrone è molto bravo a seminare, qua e là, attraverso sottili dettagli (un’occhiata strana, qualche piccola ambiguità) il dubbio che i due fratelli non siano del tutto sinceri. Si sospetta una sorta di doppiofondo nelle loro intenzioni: le due nuove amicizie convincono Mattia ma non lo spettatore. Con le inquadrature di nuca del ragazzo (citazioni di Elephant di Gus Van Sant?), il regista sembra domandarsi: “Chi è davvero Mattia, a questo punto?”.
A poco a poco, si capisce che Murad e Rachid rappresentano due volti dell’islamismo. Il primo, con la sua tolleranza e le sue contraddizioni (beve birra, frequenta ragazze), incarna l’Islam moderato. Rachid, più cupo e intransigente, quello radicale. A conquistare il cuore dell’inquieto adolescente, alla fine, sarà proprio Rachid. Con tutto quello che ne consegue. La cosa migliore è film ben riuscito: duro, asciutto, teso e molto interessante per l’acume con cui ricostruisce un possibile percorso di radicalizzazione.
“Ho voluto immaginare – ha spiegato Ferrone – la parabola di un ragazzo ‘normale’: intelligente, ipersensibile, ma anche inquieto, rabbioso. Una specie di figlio o fratello maggiore preda di una deriva pericolosa, ma con cui fosse possibile empatizzare. È una cosa rara, anche malvista, ma che mi sembra necessaria. È evidente che esiste un vuoto in Occidente che spinge al desiderio di appartenenza, in forme vecchie o nuove: religione, politica, sindacato, calcio, musica… È un fatto universale. E l’Islam, soprattutto, nella sua dimensione egualitaria, transnazionale, oppure spirituale, ha un’attrattiva molto forte anche (soprattutto?) per chi cresce in Occidente”.
Federico Ferrone è nato a Firenze nel 1981 e risiede da quattro anni a Istanbul. In co-regia con Michele Manzolini, ha realizzato Il varco (2019) e Il treno va a Mosca (2013), alla frontiera tra documentario, finzione e archivio.
Presentato ad Alice nella Città 2024, il documentario della regista romana ci porta a Palermo, a riscoprire le protagoniste del suo primo film alle prese con l'arrivo di una bambina
Il film con Barry Keoghan e Franz Rogowsky si è aggiudicato il premio principale del concorso alla sezione parallela della Festa del Cinema di Roma 2024
In Squali, presentato ad Alice nella città, il regista Alberto Rizzi cerca la strada dell'attualizzazione del celebre romanzo di Dostoevskij che trasporta in Veneto
L’Excellence Award di Alice nella Città va al regista napoletano per la sua opera prima Vito e gli altri, restaurata in 4K da Cinecittà. La presidente Sbarigia: orgogliosa del restauro dei film di grandi maestri