Ludovica Rampoldi: “L’innovazione non è più valore ricercato. Al cinema per ora c’è più libertà”

Ospite al Festival dell'isola pontina una delle penne di vanto del cinema e della serialità italiana, la sceneggiatrice di 'Esterno Notte', 'The Bad Guy', 'Il Traditore', 'Il ragazzo invisibile', 'Gomorra - la serie', '1992', '1993', '1994', ci racconta del suo grande amore per uno dei mestieri più creativi dell'audiovisivo


VENTOTENE-  La conosciamo per aver scritto alcune delle serie più memorabili del panorama contemporaneo, eppure, al momento, è il cinema il mezzo che riesce a farla sentire più libera. Scrive per capire le cose e comprendere qual è la sua posizione nei confronti di alcuni argomenti, ora la sceneggiatrice di Esterno notte e The Bad Guy, è pronta a esordire con la sua prima prova registica Breve storia d’amore: “un naturale compimento di un gesto”. Abbiamo incontrato la sceneggiatrice Ludovica Rampoldi al Ventotene Film Festival, la quale ci confida i segreti di un lavoro per lei “terapeutico”.

La sua carriera include una lunga lista di titoli come sceneggiatrice e immagino quanto per lei sia difficile scegliere il personaggio che ama di più. Ma ce n’è uno a cui è più legata?

Io citerei il primo e l’ultimo. Della prima serie che ho fatto 1992 è Leonardo Notte, un manager poi prestato alla politica. L’ultimo invece è Nino Scotellaro di The Bad Guy su Prime Video che da magistrato finisce in una parabola che lo porta a stare dalla parte dei cattivi.

Da sceneggiatrice a regista. Lei esordisce alla regia con Breve storia d’amore con Valeria Golino, Adriano Giannini, Pilar Fogliati. Cos’è che l’ha portata a fare questo salto in prima linea? Che tipo di meditazione c’è stata?

Molta meditazione! (dice ridendo, ndr.) Per raggiungere la serenità giusta per affrontare questa sfida. Posso dire che a un certo punto c’è stata la volontà di mettere in scena una storia che mi stava a cuore. Quando scrivo sceneggiature per altri registi, che è un lavoro meraviglioso che voglio continuare a fare, c’è comunque quel gesto creativo di immaginare facce, costumi, scenografie e anche inquadrature, è una cosa che io faccio nella mia testa dalla mia stanza. Mi piaceva quindi portare questo gesto al suo naturale compimento, dirigendo.

C’è un posto del cuore dove scrive? 

Ovunque possa fumare la mia sigaretta elettronica. Non in bar, biblioteche. Scrivere è una pratica che ti mette costantemente a nudo e a contatto con la tua mediocrità perché sei sempre ad inseguire la parola giusta, l’idea giusta. Insomma, arranchi in un mare di parole e questo è il mio piccolo compenso, per quanto tossico. (ride, ndr).

Serie e film. Qual’è il mezzo narrativo che predilige? 

Sono in una fase in cui voglio scrivere soprattutto film. Mentre per un periodo la serialità ha offerto grande spazio alla sperimentazione, all’esplorazione di nuove frontiere, ora sembra che si sia arrivati più a una standardizzazione dove l’innovazione non è un valore più così ricercato. La libertà non è così sfrenata come lo è stata in passato. Quindi penso che ora il cinema sia un territorio più libero.

In un’intervista ha detto che il suo battesimo è avvenuto con Twin Peaks di David Lynch. Cosa la fece appassionare e cosa pensa dell’ultima stagione uscita con venticinque anni di distanza. 

Mi ricordo che per me, uno dei primi elementi di fascino quando è uscita, era il divieto che avevo nel vederla. Ero piccola e quindi non mi era concesso guardarla. Il suo alone di segretezza e inaccessibilità mi affascinavano. All’epoca c’erano delle operazioni culturali collaterali interessanti. Mi ricordo che all’epoca usciva un giornale, di cui non ricordo il nome, su cui c’era il diario di Laura Palmer, e io li avevo tutti. Era indubbiamente una cosa mai vista prima, era sbarcato un UFO sul pianeta terra. Era qualcosa che cambiava assolutamente le regole della televisione. Prima c’erano prevalentemente narrazioni verticali solo di avvocati e poliziotti.

Lynch ha portato l’autorialità in televisione, considerata all’epoca sorella minore del cinema.

Sì è vero, lui è stato il primo a intravedere nella televisione e nella serialità uno spazio dove un’autorialità così specifica ed estrema come la sua potesse comunque aggiudicarsi un pubblico molto vasto. Intuizione per nulla scontata. Quello che ha fatto in Twin Peaks è stato prototipo di tutto e ciò che abbiamo oggi è anche per lui.

Com’è essere una sceneggiatrice in Italia?

È il lavoro più bello del mondo.

Lei la mattina apre gli occhi ed è completamente appagata, felice e soddisfatta di questo mestiere?

Hai presente quando dicono “se fai il mestiere che ami non lavorerai nemmeno un giorno”? Da una parte è così, dall’altra no perché non esiste mai un giorno di ferie. Si tratta comunque di un lavoro che ti impegna continuamente. Se stai scrivendo qualcosa non esistono sabati e domeniche. Allo stesso tempo è un lavoro molto terapeutico perché noi conosciamo noi stessi. Io ad esempio, mi metto a scrivere quando voglio conoscere bene un certo tema. Scrivo per capire qual’è la mia posizione nei confronti di qualcosa. L’unico modo che trovo per capire le cose è scriverne.

Immagino quanta ricerca ci sia dietro.

Dipende. Ci sono dei progetti che richiedono moltissima ricerca come Esterno Notte o 1992, Il traditore. Quando si parla di fatti realmente accaduti hai anche una responsabilità verso chi quei fatti li ha vissuti, mentre tu invece no. Quindi in qualche modo ci si sente responsabilizzati nel riportare i fatti nel modo più attinente alla realtà, trovando però una chiave spettacolare che possa appassionare il pubblico. C’è quindi un grande lavoro sul tema.

Molto bella è la serie Yara o Sanpa di Gianluca Neri.

Sanpa è meraviglioso. Si capiva bene la posizione dell’autore, però allo stesso tempo aveva un controtema molto forte. Non è didattico e didascalico, non vuole metterci in cattedra e proporre una tesi. Interroga lo spettatore e gli chiede “qual’è la tua posizione, come la vedi?”.  Quando mi trovo a fare una serie su fatti reali, la chiave che trovo per evitare il reportage giornalistico che è un altro genere è lavorare proprio sul tema. Vedi 1992, una serie su tangentopoli, però parla delle seconde occasioni. Ogni personaggio si trova con delle grandi occasioni della vita per fare il grande salto. Tutti i personaggi arrivavano in questo momento fatidico della loro vita e allo stesso tempo anche il paese doveva capire cosa diventare. Il tema, molto diverso dall’argomento, è ciò su cui lavoro molto per rendere una storia più universale. Il tema dell’occasione è qualcosa che ci riguarda tutti, anche chi non ha vissuto tangentopoli.

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28 Luglio 2024

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