Ludovica Francesconi: “La mia reference è Natalie Portman, ma intanto affronto La Primavera”

L’intervista alla protagonista di 'Sul più bello – La serie', presentata in anteprima a #Giffoni54 e dal 29 luglio 2024 su Prime Video: regia di Francesca Marino. L’attrice è sul set del road movie diretto da Toni Trupia e, contestualmente, sta girando una commedia, tratta da una pièce francese


GIFFONI – Marta ha fatto scoprire un talento. Correva l’anno 2020 quando Ludovica Francesconi ha indossato per la prima volta i panni della protagonista di Sul più bello (film diretto da Alice Filippi), destinato a diventare un romanzo a più capitoli per il cinema (Ancora più bello, 2021 e Sempre più bello, 2022), fino a sbarcare adesso sulla piattaforma Prime Video con il racconto a episodi: Sul più bello – La serie, dal 29 luglio 2024.

#Giffoni54 ha ospitato in anteprima la serie, diretta da Francesca Marino, e Marta è ancora lei, Ludovica Francesconi appunto, cresciuta non solo nella vicenda sullo schermo, ma anche nella vita reale, in un arco artistico che l’ha battezzata come la “Amélie italiana”, e che adesso tocca anche la commedia francese.

Ludovica, in quanto Marta, hai pensato – al di là dell’interpretazione formale – che scossa abbia dato davvero alla sua emotività la notizia del matrimonio della sua migliore amica? E per te personalmente, è un valore, qualcosa di non necessario, un atto di coraggio, il passo più romantico a cui potresti pensare, o cos’altro?

Penso che la cosa che abbia ferito Marta, al di là che non abbia molta simpatia per Aurora (Denise Capezza), sia che lei e Federica siano come due sorelle, e quest’ultima gliel’abbia tenuto nascosto, o almeno abbia aspettato fino all’ultimo momento per dirlo anche a lei: è questo che l’ha davvero fatta rimanere male, non la persona scelta, perché poi ciascuno sceglie chi più reputi adatto per la propria vita. Io, Ludovica, sono una persona estremamente romantica, quindi a me l’idea del matrimonio piace, immagino l’abito bianco: avere una mia famiglia è una delle mie aspirazioni, quindi è qualcosa che metto in conto possa accadere nel tempo.

Marta è il centro del suo mondo, ma anche un centro del mondo per il suo clan più ristretto, con Jacopo e Federica: da coetanea di Marta, quale tu sei, qual è il tuo rapporto con la centralità di te stessa e il rapporto con la gestione della solitudine?

Io tendenzialmente sono una persona a cui piace molto stare da sola: mi piace tanto condividere le esperienze con i miei amici, ma so che ho bisogno di ritagliarmi degli spazi per me stessa, e credo sia molto importante, perché ti aiuta a analizzare e scoprire delle cose di te che altrimenti tenderesti a ignorare nel momento in cui condividi troppo con un gruppo, soprattutto quando sei una persona altamente empatica, quindi tendi a mettere davanti a te prima l’altro… Credo sia davvero importante avere uno spazio per se stessi.

Se nel primo film ricordavi un po’ la grazia spensierata di Amélie, che ancora conservi nel personaggio, nella serie c’è una consapevolezza, anche comica, più simile alla Phoebe Waller-Bridge di Fleabag: per la tua carriera, in generale, sul fronte più comico ma non per forza, in che direzioni d’ispirazione guardi?

La mia reference è Natalie Portman, che passa dal dramma alla commedia romantica veramente in un battito d’occhi. Mi piace molto la commedia, ma penso che per poter interpretare in maniera comica sia necessario avere anche una consapevolezza di ciò che è drammatico, quindi quello che sto cercando di fare è oscillare tra le due cose: per quanto mi piaccia la commedia spero così di potermi arricchire, anche perché mi piacciono tantissimo le sfide e quindi poter fare qualcosa che non sia commedia è stimolante.

Ti stai misurando con qualcosa che appartiene a questa idea di recitazione?

Sì, un primo approccio l’ho avuto con La storia di Francesca Archibugi; e adesso sono su due set, uno comico e uno drammatico, entrambi italiani: quello drammatico s’intitola La primavera (di Toni Trupia), lo stiamo stiamo girando e finiremo in Marocco, è un road movie per cui percorreremo 1800 chilometri; l’altra, invece, è una commedia basata su una pièce francese, di cui purtroppo ho per ora il divieto di parlare.

Per costruire questa Marta, dopo tutto il vissuto passato, cos’hai conservato del ‘primo tempo’ di lei, affinché rimanesse la sua essenza, e che svolta avete deciso di darle perché si presentasse evoluta al pubblico?

Sicuramente ho conservato la determinazione e il coraggio. Questa prima stagione è una sorta di passaggio, ci sono cose che a un primo approccio potrebbero dar la sensazione che Marta sia diventata completamente l’opposto di come l’abbiamo conosciuta: in realtà, ci sono cose che sta cercando di seppellire in maniera molto molto violenta, che fanno emergere a volte un suo lato più superficiale, mentre imparerà qui a capire che così non vada bene.

I tre film – per finzione – ti hanno costretta a misurarti con la malattia: questo esercizio fatto a fini professionali, ti ha stimolata anche a una riflessione più personale, a rapportarti con l’idea potenziale di una condizione di vita cadenzata dalla cattiva salute, come compagna perenne del quotidiano?

Purtroppo è qualcosa che può accadere. Non dico si debba mettere in conto, anzi dico di cogliere ogni attimo della propria vita, perché è qualcosa che non puoi controllare, e non ci si può preparare. Se anche una persona cerca di essere il più consapevole possibile, e magari si conosce anche nello specifico una malattia, non sai mai cosa significherà quella condizione, come potrai reagire nel conoscerla, è qualcosa di imprevedibile. Quindi, cerco di sentirmi una persona costantemente grata per le cose che mi accadono, e ovviamente – quello della malattia – è un tema a cui, anche grazie a Marta, sono diventata estremamente sensibile: ringrazio anche chi ho conosciuto quando ho preparato il personaggio, le persone che poi mi hanno scritto, rendendomi conto anche di quanto ci sia un pregiudizio verso chi è malato, perché si tende a giudicare la persona solo per quella componente.

Sei stata guidata per la serie dalle mani di una regista che per la prima volta s’affaccia al progetto: quali sono le caratteristiche artistiche che riconosci a Francesca Marino? Ci sono state difficoltà o differenze d’approccio da parte tua, trattandosi di serialità, quindi di un lavoro più dilatato?

Girare la serie è stato abbastanza semplice, pensando che il secondo e il terzo film li avevamo girati in contemporanea, quindi era decisamente più complesso, quindi ero un po’ ‘preparata’ per affrontare una serie. Francesca è una persona estremamente colorata e penso abbia condiviso con me una sua parte, che mi ha aiutata a affrontare la nuova Marta: mi sono completamente affidata perché ha avuto veramente carattere e determinazione, che io ritrovo anche nel mio personaggio.

 

 

 

 

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