Ludovica Bizzaglia: “Sul set provo un senso di appartenenza che mi fa stare bene”

L'attrice romana, 27 anni, ci parla del suo ruolo in 'Flaminia', opera prima di Michela Giraud, attualmente nelle sale, e dell'importanza per lei di fare questo mestiere, nonostante le complessità


Ludovica Bizzaglia sin da piccola ha sentito che sul set provava un senso di appartenenza, qualcosa che la faceva stare bene. Oggi l’attrice romana 27enne racconta a CinecittàNews quanto sia importante per lei questo lavoro, ma al tempo stesso quanto sia complicato farlo, sempre alla ricerca di conferme.

Nel film Flaminia, opera prima di Michela Giraud, nelle sale dall’11 aprile con Vision, Bizzaglia interpreta Costanza, una delle tre amiche (si fa per dire) della protagonista, Flaminia De Angelis, ragazza di Roma Nord che deve essere sorridente, ossessionata dalla forma fisica e soprattutto ricca, o meglio arricchita.

Ludovica, certo amiche come Costanza sarebbe meglio non averle.

È una persona estremamente subdola e ignorante. La sua cattiveria nasce da una grande superficialità, e dalla facilità di dire cose orrende, oserei dire, illegali.

Ti è capitato nella vita di incontrare persone così?

A chi non è capitato? Con gente così ci abbiamo fatto i conti tutti. Non volevo che il personaggio di Costanza fosse caratteristico di uno stereotipo e così ho preso spunto dalle ragazzine che mi bullizzavano al liceo.

Perché ti bullizzavano?

Ho iniziato a lavorare molto piccola e quando sono arrivata al primo anno di liceo, il terzo giorno di scuola è uscito al cinema un film che avevo fatto, Sharm el Sheikh-Un’estate indimenticabile. Un gruppo di ragazzine, durante la ricreazione, si sono messe a farmi il verso e a chiedermi l’autografo. Dopo questo episodio per sei mesi non sono più voluta uscire dalla classe. Mia mamma mi è stata vicino e mi ha fatto capire che il mio essere diversa rispetto a loro era un valore aggiunto. Purtroppo di odio ce n’è molto, e oggi con i social è tutto più amplificato.

Perché hai scelto di fare questo mestiere?

È nato dall’esigenza di esprimermi già a 6 anni. Ero piccola, ma sapevo di voler studiare recitazione. Mia mamma ha provato a iscrivermi a qualsiasi sport, i miei genitori in generale erano preoccupati che io volessi fare questo mestiere. Ma sentivo che il set era il mio luogo di appartenenza e continua a esserlo ancora oggi. Provo sempre la stessa sensazione. Sto bene solo facendo l’attrice.

Ma quanto è difficile farlo?

È una lotta continua, soprattutto in periodi in cui non sei psicologicamente forte. È un lavoro di precarietà assoluta in cui aspetti sempre la risposta di qualcuno. Gli altri ti devono dire se vai bene oppure no. Mi piacerebbe vivere in un mondo dove c’è posto per tutti, ma mi rendo conto che così non è. Non mi piace sgomitare, ma inseguo la mia strada.

All’inizio avevi una visione diversa di questo lavoro?

Sicuramente più sognante. Fino ai 14, 15 anni era più un gioco, un valore aggiunto della mia vita. Oggi è la mia vita, la mia professione. Però vivo in un momento di grande esposizione, anche per via dei social, dove c’è una costante ricerca di mostrarsi in qualsiasi momento, una smania eccessiva che va controllata.

A chi, ad oggi, devi dire grazie nel tuo lavoro?

Devo molto a Cinzia TH Torrini, che mi ha regalato il primo ruolo da giovane protagonista nella serie Un’altra vita, una storia meravigliosa e un’esperienza altrettanto stupenda che ho condiviso con Vanessa Incontrada sull’isola di Ponza. Quando ho incontrato Cinzia al provino, mi ha detto che non mi conosceva, ma che pensando al personaggio era come se l’avesse scritto per me. Questo è uno dei motivi per cui faccio questo lavoro, perché ha il potere di cambiare una visione. A me piacciono le persone che ti sconvolgono, e secondo me Michela con Flaminia ci riesce. Vai a vedere un film pensando a una commedia di un certo tipo e poi scopri qualcosa di totalmente diverso.

Con chi sogni di lavorare?

Paolo Sorrentino e Matteo Garrone sono tra i miei autori preferiti. Guardando in grande, Sofia Coppola e Yorgos Lanthimos. Mi piacerebbe continuare a lavorare anche con giovani autrici italiane. Una nuova generazione, come Michela, Pilar Fogliati, Margherita Vicario, che ha voglia di raccontare qualcosa di nuovo. Ci sono purtroppo ancora oggi ruoli femminili come se ne vedevano cinquant’anni fa, la fidanzata di, la figlia di. Invece abbiamo bisogno di storie su donne che sanno raccontare se stesse da sole, senza nessuno intorno. Spero mi capiti presto un personaggio così.

Giulia Bianconi
14 Aprile 2024

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