Lucia Bosè: “Visconti è stato quasi un amante”

Lucia Bosè protagonista di un Incontro della Festa di Roma: l’attrice milanese di Antonioni, Emmer e Ozpetek, si racconta


“Lei è un animale cinematografico”, dice Luchino Visconti a Lucia Bosè, nata a Milano 88 anni fa, quando, 16enne, lei gli impacchetta una scatola di marron glacé alla pasticceria Galli di via Victor Hugo a Milano: è poi il ’47, è Stresa, è Miss Italia, il concorso che quella fanciulla, commessa di pasticceria, vince per l’incantevole bellezza, e da lì il cinema dei maestri.  

La prima volta, a dirigerla, è Giuseppe De Santis, in Non c’è pace tra gli ulivi, film del 1950, lo stesso anno in cui Bosè interpreta il film che la consacra, Cronaca di un amore di Antonioni, per cui è stata anche La signora senza camelie (1953). E poi Emmer (Le ragazze di piazza di Spagna), Cavani (L’ospite), Taviani (Sotto il segno dello Scorpione), Bolognini (Metello), Fellini (Fellini Satyricon), fino ai più recenti Ferzan Ozpetek e Roberto Faenza, per un complesso di 48 storie da grande schermo in carriera, oltre a quelle che i rotocalchi hanno ampiamente raccontato, dal “fidanzamento” con Walter Chiari all’amore internazionale con “il torero” (lei quando ne parla lo chiama usando questa definizione) Luis Miguel Dominguìn, padre dei suoi tre figli. 

 L’attrice, ormai peculiare la sua capigliatura blu elettrico, è stata regina di un frizzante Incontro dedicato alla sua biografia, in occasione della presentazione del libro curato da Roberto Liberatori, Lucia Bosè. Una biografia.  

“Non posso fumare una sigaretta?”, così esordisce con ammaliante simpatia la signora Bosè, che ripercorre un po’ la sua carriera cinematografica, soprattutto riservando un ricordo alle persone, ai registi e ai colleghi con cui ha lavorato, per un mestiere di cui: “Non posseggo niente di mio, ma tutti i miei film mi son piaciuti, se no non avrei accettato di farli! Non ne ho un preferito, come i figli: se ho fatto del cinema mi sono impegnata, e se non ho dato di più, forse non avevo più da dare”, afferma con franca leggerezza Lucia Bosé, che ricorda prima di tutti Luchino Visconti.  

“E’ stato più di un fratello, quasi un amante, lui mi adorava: io non potevo fare teatro, perché ho fatto cinema con un polmone solo, ero tubercolotica; ma lui non mi voleva per il cinema, lui mi avrebbe voluta per il teatro. Ho vissuto anche in casa sua, ho dato a Luchino quello che ho dato a pochi uomini, perché era una persona straordinaria. Era entrato nella pasticceria dove lavoravo e mentre preparavo la scatola lui mi disse: ‘lei è un animale cinematografico!’ e così mi ha suggerita per un provino a De Santis”, ricorda Bosé. “Quello con Giuseppe è stato il mio primo film, ero una sprovveduta e sono andata a fare cinema come una scema, ma era il vero cinema, un’arte”.

La prima volta che mi sono messa davanti ad una camera la questione è stata: ‘o mi mangi tu o ti mangio io’, e io l’ho mangiata, ma al 50%, perché volevo avere anche la mia vita”, racconta la signora milanese, che non ha vissuto certo un’infanzia stellare nella Milano della guerra, prima che arrivasse il cinema, come ricorda, restituendo così un tratto deciso del suo carattere: “La guerra è stata dura, a Milano sembrava che non arrissero mai gli Americani a liberarci, la nostra casa era stata distrutta, mi avevano dimenticata in mezzo alle macerie, avevo 10 anni: tutto bruciava, mia mamma mi aveva detto di stare lì ad aspettarla, ma tutti se andavano sui carri, così ho cominciato a correre e mi sono attaccata alla corda di un cavallo e lì… ho capito che volevo essere differente e non mi sono più staccata ‘da quella corda’, nemmeno adesso. Se non ti attacchi a te stesso non c’è famiglia che ti supporti, l’è düra! La Petacci e Mussolini li ho visti appesi a Piazzale Loreto, a un metro da me, e poi sono scappata via: la guerra è stata l’esperienza più dura della mia vita ma ho capito che bisogna sempre andare avanti, così sono arrivata a 88 anni felice e serena. Bisogna affrontare con serenità, amore, perdonando, ma avere la forza di andare avanti, sempre”. 

Eppure, dopo il buio della guerra, la luce del cinema e di “Ava Gardner, la donna più bella che io abbia visto, e simpatica. Fellini era adorabile: mi ricordo che in Satyricon c’erano dei pavoni reali che cantavano nel giardino in cui giravamo mentre m’ammazzavo. E così fece mettere lo scotch alla coda dei pavoni, mentre io sgozzata morivo per terra, buffissimo! Adesso ci sono i manager, prima c’era contatto umano: il regista veniva da te e ti proponeva il film. Poi, con Citto Maselli, assistente di Antonioni, ho riso più che con chiunque altro nel cinema italiano, tanto che Antonioni mi diede uno schiaffo perché continuavano a ridere, siamo arrivati a 40 ciak. Me lo meritavo, non me ne sono andata, come tutti temevano. C’era sempre una lotta con Michelangelo perché mi stuzzicava un po’, s’arrabbiava perché non voleva uscissi dal personaggio, mentre io volevo uscirne! Buñuel, invece, era sordo e pazzo, completamente pazzo! Dormiva sempre per terra, su un asse, mai negli alberghi, era uno divertentissimo, come lo era Marguerite Duras, che aveva sempre il vizio di grattarsi le parti intime, non so perché, ma era difficilissimo stare seri, e con Jeanne Moreau, conosciuta sul set di Nathalie Granger (1972), ci divertimento moltissimo. Poi Marguerite aveva tutti amici comunisti, vestiti male, diretti da lei a piantare insalate, era da morir dal ridere. Jeanne poi mi ha diretta in Lumiere (1976), una donna straordinaria, come lo è Alda Merini, che mi piace moltissimo, di cui ho tradotto le poesie in spagnolo: sono molto amica di Giovanni Nuti, che ha messo in musica le sue poesie. Alfonsina y el Mar (2013) di Davide Sordella, Pablo Benedetti, è stato il mio ultimo film, è stato durissimo, ma masticando le foglie di coca sono riuscita a reggere di salire a 4000mt nel deserto cileno”, racconta con trasporto e enorme lucida simpatia Lucia Bosé, che però ovviamente oltre al piglio ha la bellezza, infatti era bella, bellissima ed “è riuscita a essere tutto e il contrario di tutto, aveva una disinvoltura incredibile nel passare da un ruolo all’altro”, ricorda il regista Maurizio Ponzi, presente all’incontro, che l’ha diretta in Volevo i pantaloni (1990).  

Felicissima di essere a Roma, che dice essere: “la città più bella del mondo, ma dopo 63 anni che vivo in Spagna è dura tornare, le nostalgie prendono la testa, qui non c’è quasi più nessuno, nemmeno Franco Zeffirelli, con cui non ho mai girato ma che è stato un mio grande amico”. 

La signora Bosé, conquistata la platea dell’Incontro, s’è congedata con la gentilezza e la gratitudine di chi ha conosciuto la miseria e le stelle, senza perdere mai il senso comune: “Grazie per avermi sopportata”, il suo saluto.  

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23 Ottobre 2019

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