Lucchi e Gianikian, archeologi delle immagini


Oh, uomo!E’ la prima volta a Cannes per Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian, documentaristi del tutto originali, di certo esponenti di un cinema sperimentale e ai margini, presenti con Oh, Uomo alla Quinzaine des Réalisateurs. Il film chiude la loro trilogia sulla Prima guerra mondiale, cominciata con Prigionieri della guerra (1995) sulle condizioni di donne, bambini, dei caduti delle due parti in conflitto, e proseguita con Su tutte le vette della pace che ha come scenario bellico le montagne dolomitiche, luogo di altre sofferenze. Oh, Uomo mostra le conseguenze della Grande Guerra su soldati e civili, è un catalogo della devastazione, dello strazio del corpo umano e della sua ricostruzione artificiale.
Il loro è cinema nel/sul cinema. Hanno lavorato su filmati conservati negli archivi del Museo storico di Trento, del Museo storico e della guerra di Rovereto di Vienna e Mosca. Come artigiani e archeologi del cinema hanno recuperato, colorato, virato, ristampato e rimontato vecchie immagini dimenticate, lasciando i segni evidenti del tempo. Il risultato finale è un documentario universale, una testimonianza, oltre i confini temporali, di drammatica attualità sull’insensatezza della guerra e sulle sue devastanti sofferenze. Un viaggio nella memoria, che ci parla al presente. Non c’è alcun commento, solo poche didascalie di raccordo e a tratti un’essenziale colonna musicale, affidata a Giovanna Marini. E spesso un silenzio totale a parlarci della tragedia, mentre il tempo scandito dalle immagini rallentate ci spinge alla riflessione.
Il prologo è costituito da materiale d’epoca di propaganda: sequenze di parate militari e cerimonie religiose, ove compare anche Mussolini. Poi il documentario s’articola in capitoli. Guardano e ci interrogano in macchina i bambini ammalati con i loro corpi deformi e denutriti, le facce devastate e ricucite di soldati sopravvissuti miracolosamente alla carneficina. E scorrono le immagini dei reduci, mutilati nei corpi. alle prese con protesi di gambe e braccia, e ancora degli artigiani che le costruiscono in serie e le provano.
“Viaggiamo catalogando, cataloghiamo attraverso il cinema che andiamo a ri-filmare. Le fonti originarie sono i recuperi di archivi documentari – spiega la coppia di registi – La costruzione di una ‘camera analitica’ ci permette di avvicinarci, di scendere in profondità nel fotogramma… Uso del vecchio per il nuovo, per fare emergere dal repertorio i significati nascosti, per rovesciare i significati primitivi”.

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