“Volevo diventare uno storico, mettere al servizio della Storia quelle che speravo fossero le mie capacità”. E’ così che Luca Bigazzi, direttore della fotografia e insieme operatore di macchina, racconta la genesi del suo lavoro, che da sempre si distingue per la scelta di totale libertà da regole codificate, da nozioni accademiche, concentrandosi piuttosto sulla risoluzione di problemi “al momento”, che poi diventano nuovi modi di fare fotografia al cinema. Lo fa nel pregevole volume “La luce necessaria – conversazione con Luca Bigazzi” a cura di Alberto Spadafora, pubblicato da Artdigiland.com, (Dublino 2012, pp. 232, € 26,20) con la prefazione di Silvia Tarquini.
Un’intervista appassionata e appassionante che nasce in video e diventa cartacea – ma non solo – grazie anche all’innovativo strumento della ‘print on demand’, che permettere di abbattere i costi stampando le copie solo quando vengono richieste dal pubblico, si trattasse anche di un’unico esemplare. Nuovi innovativi canali di distribuzione per il giovane editore – questo è il primo libro – che attraversa molteplici piattaforme, dal video (sul sito), all’e-book fino all’approdo classico su carta, sfruttando, più che la distribuzione in libreria, la vendita online sullo store virtuale Amazon.it.
Sperimentare in editoria, come al cinema: “Per questo non amo le scuole – racconta Bigazzi alla presentazione, polemizzando scherzosamente con Caterina D’Amico, direttrice della Casa del Cinema che ospita l’evento – dove si rende l’idea che il cinema si possa fare solo in un modo e con certi mezzi. Io penso che invece il cinema si possa e si debba fare con quello che si ha a disposizione, coerentemente con il progetto che si sta realizzando. Se lo spettatore fa troppo caso alla grana o al fuori fuoco vuol dire che ci sono problemi più importanti, nella storia, o nella resa degli attori. La scuola ti allontana dall’ingenuità, mentre invece proprio l’ingenuità, la leggerezza, il ‘non sapere’ ti spingono a trovare soluzioni nuove. Se già conosci la soluzione a un problema, tenderai a usare sempre quella”. Insomma, usare ciò che è necessario a quella storia, parafrasando il titolo del libro.
Bigazzi racconta il sodalizio con Silvio Soldini, con cui esordisce all’insegna dell’indipendenza artistica e produttiva, le scelte linguistiche coraggiose e in anticipo sui tempi al fianco di Daniele Segre, lo straordinario lavoro con Martone sul territorio napoletano, l’esperienza con il dirompente cinema di Ciprì e Maresco in bianco e nero, l’avventura in Albania con Gianni Amelio per Lamerica, seguita da altri tre film con il regista, le collaborazioni con Giuseppe Piccioni, Carlo Mazzacurati, Antonio Capuano, l’attenzione agli esordienti, le incursioni nel documentario, la scoperta di Abbas Kiarostami e, naturalmente, la partecipazione costante al cinema di Paolo Sorrentino, che con This Must Be the Place che gli regala il suo sesto David di Donatello per la miglior direzione della fotografia. Il suo prossimo film sarà Gina di Francesca Comencini, già conosciuto col titolo provvisorio Il primo lavoro.
Alla presentazione, moderata da Enrico Magrelli, partecipano anche Soldini, Piccioni, Fabrizio Bentivoglio, che con Bigazzi ha lavorato sia in veste d’attore che di regista, e Stefania Casini.
“Eppure, nonostante tutto questo lavoro, sempre lodato, non c’era ancora un libro su questo significativo professionista – dichiara l’autore Alberto Spadafora – il che mi ha spinto a colmare il vuoto. Eppure, era lui inizialmente a non essere convinto. Mi ha chiamato e mi ha detto: ‘Ma a chi vuoi che possa interessare?’. Era la sua manifestazione dell’imbarazzo di avere le luci puntate su di sé”.
“Non farò mai il regista – conferma Bigazzi – non ho storie in mente e non le so raccontare. Bisogna fare quello che si sa fare e io mi metto al servizio delle storie altrui”.
Come abbiamo visto, Bigazzi inizialmente voleva mettersi al servizio della Storia, con la S maiuscola. Tutto sommato, non è andato così lontano dal suo intento originario.
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