CANNES – C’è grande attenzione all’Ucraina e ai temi della guerra in questo festival di Cannes con titoli come Mariupolis 2 del compianto Mantas Kvedaravicius, Pamfir opera prima di Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk e The Natural History of Destruction, potente documentario di Sergei Loznitsa, autore nato in Bielorussia e cittadino ucraino, habitué di Cannes dove ritorna con un evento speciale molto atteso.
Un film straordinario, come suo solito, che utilizza unicamente materiali di repertorio senza voce off, ma con una sonorizzazione che conduce lo spettatore per mano attraverso le immagini, principalmente in bianco e nero, ma anche a colori. Suoni, musiche e voci d’epoca ci mostrano la drammatica realtà della seconda guerra mondiale, un conflitto che diventa rappresentazione di molti altri conflitti compreso l’attuale tra Russia e Ucraina.
La distruzione delle città – in particolare Dresda – si alterna a momenti di vita quotidiana a Berlino sull’Unter den Linden: la pioggia di morte dall’alto è la strategia bellica per eccellenza che non colpisce obiettivi militari ma vuole minare la resistenza di un intero popolo attraverso il massacro dei civili. Loznitsa usa poi sequenze che raccontano la produzione di massa degli armamenti: obici, aerei da guerra e mitragliatrici. Quindi una lunghissima scena di bombardamenti notturni che fanno davvero accapponare la pelle con squarci di luci nel nero profondo.
“La ferocia contro Dresda – ricorda Loznitsa che ha costruito il film sulla scorta del saggio dello scrittore tedesco W.G. Sebald – non fu che l’azione più evidente di una strategia militare che da allora in poi è diventata moneta corrente nella tattica dei generali. La domanda di fondo è sempre più attuale: si può moralmente accettare che la popolazione civile di una nazione divenga obiettivo militare privilegiato? Guardare al passato, ricordarci che ciò che oggi imputiamo ad altri, noi occidentali lo abbiamo fatto con i bombardamenti alleati della Germania e con la Luftwaffe su Londra, significa cercare di capire come evitare che ciò accada ancora”.
Terminato in coincidenza con l’invasione dell’Ucraina, il film ha avuto una lunga gestazione durata quattro anni per la difficoltà di finanziare un lavoro tutto costruito sui costosi archivi internazionali. Molti finanziatori non capivano perché fare un film del genere, senza comprenderne la tragica urgenza che invece era ben chiara a Loznitsa, in modo quasi profetico. Il documentarista e regista sempre molto politico nelle sue prese di posizione non è nuovo a questi temi, trattati con film come The Event sul putsch in Urss nel 1991 e Babi Yar. Context, vincitore del Premio della Giuria del concorso riservato ai documentari qui a Cannes, sul massacro di oltre 33.000 ebrei a Kiev nel ’44 per mano dei nazisti. “Non abbiamo ancora riflettuto appieno su questi eventi – sostiene il cineasta – e non abbiamo trovato un modo per prevenirli. Non credo che siamo incapaci di comprendere le lezioni del passato, quello che manca però è la volontà politica e anche personale, ci vuole un autentico sforzo di comprensione”.
Per lui l’invasione dell’Ucraina non è stato un fulmine a ciel sereno. “Lo sapevo da tanto e per questo ho realizzato Donbass nel 2018. Era evidente che si sarebbe arrivati alla guerra perché si scontravano due mentalità inconciliabili, quella imperialista dei russi e quella democratica dell’Ucraina moderna”.
Del resto Sergei Loznitsa non ha vita facile nemmeno in Ucraina, dopo le dimissioni a dicembre dall’Accademia Europea del Cinema per protesta contro la messa al bando dei cineasti russi. “L’arte non può essere ostaggio della politica – afferma con convinzione – e gli artisti vanno difesi sempre, se sono onesti nelle loro scelte a favore della democrazia”. Espulso dall’Associazione dei Cineasti Ucraini, oggi vive in Germania. “Ma spero che il mio lavoro sia utile a far sentire a tutti quanto è orribile la condizione della gente del mio paese, costretta a vivere sotto l’incubo della morte che viene dall’alto”.
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