Louisiana blues per Dylan Dog


“Se Dylan Dog andrà bene, e incasserà il necessario, mi piacerebbe ovviamente girarne un sequel. E in quel caso spero di avere le risorse per riportare il personaggio nel suo ambiente d’origine, a Londra, inserendo tutto ciò che non ho potuto mettere in questo film: dall’arcinemico Xabaras all’amico di sempre, l’Ispettore Bloch. E perché no, girerei una parte anche in Italia”.
Suona come una promessa quella del regista Kevin Munroe, che con coraggio non indifferente presenta il suo film tratto dal celebre fumetto edito da Sergio Bonelli Editore, in uscita con Moviemax il 16 marzo in 300 copie, al prevenutissimo e più che mai agguerrito pubblico italiano.
Con 56 milioni di copie vendute in tutto il mondo, nel Belpaese, sua terra natia, Dylan è un vero culto, che si tenta di portare sul grande schermo dagli anni ’90. Alla fine, ci pensano gli USA, con questa produzione a medio budget che, per vari motivi, si vede costretta a tagliar fuori molti degli elementi del fumetto considerati “fondamentali” dai fan: l’ambientazione si sposta da Londra a New Orleans, il maggiolone dell’eroe, tradizionalmente bianco, è dipinto di nero, mancano la spalla Groucho e l’amico di sempre, l’Ispettore Bloch (ma non del tutto, occhio ai titoli di testa…).

Però si sbaglierebbe a pensare che Munroe sia uno sprovveduto ignorante della materia: ha letto il fumetto, lo conosce, lo ha amato, è consapevole di ciò che ha dovuto suo malgrado togliere, aggiustare, adattare. Non a caso, tutti i pezzi che mancano non sono rinnegati, ma relegati al passato del protagonista, che in seguito a un evento misterioso, ha rinunciato alla professione di investigatore dell’occulto e si è ritirato in Louisiana a occuparsi di casi ben più tranquilli. In un seguito, perché no, tutti gli assenti all’appello potrebbero tornare.

“Sono stato coinvolto nel progetto un anno dopo aver terminato Teenage Mutant Ninja Turtles. Erano 8 anni che la Platinum tentava si portare Dylan su schermo. Appena ho letto la sceneggiatura, che all’epoca si chiamava solo Dead of Night, ho capito che c’erano tutti gli elementi per farne un film vincente attorno a cui costruire un mondo, compreso l’umorismo. Tra l’altro, conoscevo Dylan Dog perché avevo lavorato alla serie TV di Martin Mystère, un altro personaggio Bonelli che nei fumetti si incontra con Dylan diverse volte. Avevo letto i sei albi di Dylan pubblicati in USA dalla Dark Horse, ma poi sono andato a cercarmi le versioni italiane, e le ho trovate diverse, più profonde. Qualcosa nella traduzione si perde. E anche negli albi, in versione americana, Groucho è senza baffi e si chiama Felix, perché da quelle parti i diritti di sfruttamento dell’immagine di Groucho Marx costano un occhio”.
Ecco perché l’amato personaggio, identico al celebre comico, è stato eliminato dalla pellicola, e sostituito dal buffo zombie Marcus Wright (Sam Huntington). Dylan ha invece il bel facciotto e il fisico prestante – distante dall’esile figura del personaggio cartaceo, ispirato a Rupert Everett -di Brandon Routh, che già aveva confidenza con le trasposizioni fumettistiche per aver indossato la tutina attillata di Superman nel film di Bryan Singer dedicato all’eroe d’acciaio.

“Ma non penso di aver abbassato il target di pubblico – dice ancora il regista – ho solo trasposto al cinema un personaggio dei fumetti. Certo, le differenze ci sono e quando hai a che fare con un’icona come questa devi farci i conti. Ad esempio, il fumetto è pieno di teste che esplodono e cervelli smangiucchiati, mentre noi abbiamo fatto un PG13. Ma lo spirito è quello, io ho cercato di metterci dentro tutti gli elementi che sapevo avrebbero soddisfatto i fan: la scrivania con il galeone, il poster dei fratelli Marx, il lancio di pistola. Volevo far capire loro che comunque ho prestato attenzione alla trasposizione. Per quanto riguarda il cambio di location, all’inizio il film doveva ambientarsi a New York. Londra non era proprio possibile, ci sarebbe costata quattro volte tanto. Così ho pensato che, se proprio l’ambientazione doveva essere statunitense, la cosa migliore era mandare Dylan a New Orleans, in quell’atmosfera così europea, attraente eppure spaventosa, piena di misteri e fantasmi. Il posto di fuga ideale per l’Indagatore dell’Incubo. Non ho paura del giudizio del pubblico – dice poi il regista, sicuro di sé – né voglio tirarmi indietro di fronte alle domande. Circa le controversie, credo che siano normali quando vai a toccare qualcosa che sta a cuore a tante persone”.

Né hanno paura i temerari della Moviemax, che distribuisce il film in anteprima in Italia, nella “fossa dei leoni”, dove maggiormente ha possibilità di essere criticato. Ma qualcosa, per venire incontro ai fan, ci hanno aggiunto anche loro. L’esclamazione tipica del personaggio “Giuda ballerino!”, che Munroe aveva eliminato perché effettivamente insensata in inglese, è stata reintegrata con un’abile manovra di doppiaggio. E il film, dopotutto, pieno di licantropi, vampiri e zombi realizzati con molto trucco artigianale e poca CGI, nonché di situazioni surreali e battute niente male, non è peggiore di tante produzioni analoghe, da Underworld a Io sono leggenda. C’è spazio perfino per citazioni, che costituiscono spesso la riprova dell’umiltà che il regista ha applicato nell’approcciare il progetto: “Dov’è Sclavi?!?”, chiede a un certo punto un personaggio rivolgendosi a un vampiro che si chiama come il creatore del fumetto. Se i fan sosterranno la pellicola, chissà, forse un giorno vedranno davvero il Dylan che vorrebbero. E non è detto che Munroe non sia la persona giusta per dirigerlo.

autore
15 Marzo 2011

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