Los Angeles, business e glamour


N. CageUn cinema italiano che non è fatto solo di neorealismo e maestri consacrati, ma di commedie agrodolci, thriller esistenzialisti e gangster movie politici, insomma di film che parlano all’oggi. Un cinema italiano che è anche industria, dove una colazione di lavoro può essere l’occasione di mettere in piedi nuovi progetti internazionali e discutere pro e contro del futuro festival di Roma. Un cinema italiano che sa sfruttare l’attrattiva sofisticata dei nostri brand commerciali, dalla Maserati (che si fa strada a colpi di product placement conquistando divi come Nicolas Cage e Hilary Swank) all’eterno Bulgari.
G. ClooneyA Los Angeles, per il secondo anno, si parla di Cinema italian style: Silvia Bizio, una giornalista di settore che da anni lavora a Hollywood, ha messo le sue competenze al servizio di Cinecittà Holding e Italian Film Commission, mentre l’American Cinemateque ha fornito location prestigiose come l’Egyptian Theatre, il più antico cinema di Hollywood, con l’atrio istoriato di figure di scribi e faraoni e le stelle firmate dai divi sul marciapiede. Lungo il red carpet sono sfilati per l’inaugurazione della rassegna, che prosegue fino al 16 ottobre, Sergio Rubini, Giovanni Veronesi e Aurelio De Laurentiis, rispettivamente attore, regista e produttore della commedia che ha aperto il festival, quel Manuale d’amore campione d’incassi in Italia e in odore di remake americano (a dirigerlo, l’istrionico De Laurentiis vorrebbe l’indipendente Alexander Payne, quello di Sideways). Si prova a fare affari, a margine della festa, con la Cattleya di Marco Chimenz e Riccardo Tozzi, che qui porta tre film (La bestia nel cuore, Quando sei nato non puoi più nasconderti e il recentissimo Romanzo criminale) ma intanto sta cercando una star internazionale per Vita di Paolo Virzì, dal libro di Melania Mazzucco: potrebbe essere un’attrice simbolo del cinema americano indipendente, ossia Frances McDormand, musa dei Fratelli Coen: ma se ne sta discutendo proprio in queste ore. Mentre Marco Ponti (Santa Maradona) qui nella città degli angeli sta per chiudere un contratto con una major per la sua prima regia americana, A Venetian Affair.
Ci crede, nell’internazionalizzazione del nostro cinema, Giovanni Galoppi, il presidente di Aip con la valigia sempre pronta (tra le prossime tappe il Brasile). Ci crede Alessandro Usai, direttore generale di Cinecittà Holding, che ci racconta come si stia cercando di svecchiare il modello della classica rassegna italiana all’estero, alla ricerca di un po’ di glamour e mondanità (ma i francesi, per gli stessi scopi, continuano a spendere cifre per noi irraggiungibili, specie in un momento in cui la Finanziaria penalizza più che mai il settore). In piccolo è nata l’idea di un premio a George Clooney, l’uomo del momento secondo il prestigioso Newsweek che gli ha dedicato un lusinghiero ritratto, e tra i protagonisti indiscussi di Venezia 62. Raggiunto in un blindatissimo studio televisivo, George ha spedito lo sceneggiatore di Good night, and good luck – premiato proprio a Venezia – a rappresentarlo alla serata d’inaugurazione, dove si sono visti, in una platea affollata di spettatori paganti e molto attenti, l’Angela Baraldi di Quo vadis, baby?, Andy Garcia e Raoul Bova, che ormai vive e lavora qui (sta lavorando a una fiction Abc, What about Brian) e ha avuto un altro premio speciale. Una terza statuetta (una specie di Oscar di vetro di Murano contornato da una pellicola arrotolata) è andata a Rick Nicita, agente di star (categoria qui potentissima) e presidente della Cineteca. Mentre il governatore Arnold Schwarzenegger ha inviato un messaggio di benvenuto e di elogi.

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07 Ottobre 2005

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