BERLINO – Ha trovato una collocazione ideale nella sezione relativamente nuova ma ormai consolidata e di grande successo come Kulinarisches Kino della Berlinale, che parla di cibo anche dal punto di vista delle politiche culturali, Lorello e Brunello, il documentario di Jacopo Quadri prodotto da Vivo Film, Ubulibri e Rai Cinema, che ci restituisce attraverso il lento e incessante scorrere del tempo e delle stagioni, la difficoltà di essere agricoltori nel contesto attuale, ormai globalizzato anche in questo settore con il ritorno di forme contemporanee di latifondo e sfruttamento intensivo. Ma il celebre montatore e ormai anche regista (con i documentari realizzati su due grandi del teatro come Luca Ronconi ed Eugenio Barba al suo attivo) ha voluto dedicare ai suoi vicini di casa in Maremma, Lorello e Brunello Biondi, una narrazione che senza essere mai didascalica o esplicativa, dice molto sulle trasformazioni in atto.
Siamo a Pianetti di Sovana in provincia di Grosseto, in una fattoria dove si allevano pecore e si produce fieno: la fattoria di famiglia dei Biondi che lavorano, come i loro antenati, dall’alba a notte fonda, per mandare avanti la baracca. Non solo il lavoro agricolo, in buona parte meccanizzato, ma la costruzione di canali e recinti, le macchine da riparare, i lupi incattiviti che minacciano il gregge.
“Lorello e Brunello – spiega il 53enne Quadri – è un film sul lavoro, la terra, le stagioni. Il caldo, la siccità, la notte. Il tempo. La solitudine. In piedi ben prima dell’alba, perché lavorare così tanto? Volevo capire come vivono queste persone che lavorano e basta, senza la minima gratificazione, senza mai una gioia. Volevo vivere con loro per capire. Capire le regole della campagna, dell’allevamento, delle semine, dei raccolti. Come affrontare le tre ore quotidiane della mungitura in un frastuono di mammelle e sterco? Cosa si pensa quando si passa la notte su un trattore in un campo al buio, soli nella polvere? Pensavo che la radio potesse essere di compagnia, invece di sottofondo c’è solo rumore, e non ci si può distrarre neanche un momento perché se si prende un sasso si rompe tutto”.
Ecco dunque il racconto, materico perché fatto di terra, fango e vento, ma anche fortemente simbolico, di un assedio, come dice il suo autore. Quello di conti che non tornano, di un’attività ormai in perdita, di vicini ingombranti come gli Antinori che sarebbero pronti a comprare tutto. “Sono assediati dal mercato globale e insieme a loro è sotto assedio l’esistenza dell’intera dimensione di vita e di economia contadina”, dice ancora Quadri, che al Festival di Torino, con questa opera ha ottenuto il Premio Cipputi come miglior film sul mondo del lavoro e una menzione speciale della giuria. “Il pericolo, quello contro cui continuano a lottare, non è solo il fallimento economico, è lo sgretolamento della loro stessa identità ed è a quest’atto di resistenza che ho voluto dare corpo e voce. Lorello e Brunello non venderebbero mai la loro terra, la lavorano e vogliono continuare a farlo. Ma è la percezione del mondo visto dal piccolo podere che mi interessa, come se fossero degli argonauti sopravvissuti allo spopolamento delle campagne, a un mondo ribaltato.
Attorno a loro due, tutta una rete di relazioni che il film restituisce con delicatezza: l’anziana Ultimina che li ha visti nascere, Giuliano con la sua mamma Wilma, l’instancabile Mirella, la fidanzata rumena di Brunello che lo va a trovare ma non si ferma a dormire. Lorello e Brunello hanno accettato volentieri di far entrare la macchina da presa nella loro dimensione più intima, infastiditi solo di rado, quando venivano ripresi durante i pasti e sono state 180 le ore totali di girato poi ridotte a 90′ di film. Per loro è stata l’occasione unica di uscire dall’invisibilità, per noi spettatori l’opportunità di capire meglio da dove viene – anche in termini di “capitale umano” – ciò che mettiamo ogni giorno sulla tavola.
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