Un’americana esperta di letteratura italiana e un’italiana scevra da provincialismi, che ha trovato ispirazione più in “interni berlinesi” che in salotti nostrani. L’incontro tra Gaetana Marrone e Liliana Cavani è di quelli illuminanti: la studiosa, docente a Princeton, ha scavato nella poetica della regista di Carpi senza i pregiudizi che hanno accompagnato certa nostra critica. Ne è nato un volume, Lo sguardo e il labirinto, ora tradotto e pubblicato da Marsilio. Ex-cursus attraverso le opere più significative della cineasta, tra cui I cannibali, Galileo, le due vite di Francesco, Milarepa, e naturalmente Portiere di notte e il nietzscheano Al di là del bene e del male. Un percorso tra eros e conoscenza, sapere e potere, emozioni e idee: “I personaggi della Cavani – riassume Gaetana Marrone – sperimentano sul proprio corpo la conflittualità tra la realtà storica e quella spirituale, fra il presente e il passato. Sono dei ribelli e dei pazzi”.
Cineasta in parte incompresa dai suoi contemporanei, proprio per questa radicalità indomabile, Cavani è stata anche oggetto di censure e attacchi, persino di un’interpellanza parlamentare, come ha ricordato Italo Moscati nel corso della presentazione del volume a Roma. In quella stessa sede, Mario Sesti ha messo l’accento sullo svelamento che il suo cinema fa del processo di liberazione del singolo e “dell’inferno che si cela nell’essere liberi sul serio”. Vito Zagarrio ha detto, tra le altre cose, di considerarla una pioniera dell’uso della televisione come mezzo espressivo già nei primi lavori di documentario storico e nelle biografie di Galileo o Francesco d’Assisi. Ancora, Giovanna Grassi, ha suggerito una doppia identità di autrice e cineasta di genere che consentirebbe anche a un film su commissione come Il gioco di Ripley di trovare il suo pubblico.
Ma Liliana il suo pubblico l’ha trovato sempre, come ci raccontava la scorsa estate in un’intervista preveneziana. Il suo cinema filosofico, da meditare e “leggere”, ha spesso lasciato un segno nelle coscienze e attivato processi di trasformazione. “Ho cercato di fare mito, di raccontare un fatto, anche di cronaca, dentro una forma allegorica: L’oro di Napoli è un esempio perfetto di questa mitopoiesi”, riflette Cavani. E racconta di quando da bambina vedeva passare la processione del venerdì santo sul corso di Carpi. “Il Cristo di gesso mi spaventava, ma quanti di quelli che partecipavano a quel rito erano coscienti di compiere un viaggio agli inferi? Spesso la ritualità viene vissuta inconsapevolmente”.
Quel viaggio agli inferi ha trovato ora una guida consapevole in Gaetana Marrone. E Liliana – emozionata – ci scherza: “Balthus era sempre accompagnato da un amico, Jean-Marie, che ha poi scritto un libro su di lui. Lui dipingeva inconsciente e beato, mentre l’amico si sforzava di trovare il significato dei suoi quadri. Anch’io ho trovato il mio Jean-Marie”.
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