Arriva in sala il 2 dicembre con M2, tempismo perfetto per le festività natalizie, Lo Schiaccianoci di Andrei Konchalovsky, produzione franco-anglo-ungherese ispirata al celebre balletto di Pyotr Ilyich Tchaikovsky, a sua volta basato su un racconto del 1816 di E.T.A Hoffmann poi rielaborato da Alexandre Dumas. Solo parzialmente pensato per un pubblico di ragazzi, il film mescola tra di loro elementi delle due versioni, Hoffman e Dumas, che sono molto diverse, e ci aggiunge del suo, impastellando tutto nell’ormai immancabile doratura 3D.
Il racconto di Hoffman, che assume connotati spesso cruenti e inquietanti, è un omaggio al mondo parallelo, quello onirico dell’inconscio e del sogno, così caro al romanticismo, di cui Schiaccianoci, secondo le definizioni di Morfologia della fiaba del linguista russo Propp, è “passatore” o traghettatore. Come l’omino gobbo di W. Benjamin, gli assistenti e gli studenti di Kafka, o tanti personaggi secondari delle fiabe (nani, gnomi, lumache parlanti, vecchine, animali feriti e chi più ne ha, più ne metta…), lo Schiaccianoci di Hoffmann è chiaramente un “aiutante”, figura messianica capace di traghettare chi lo merita, magari anche il lettore, verso il regno della salvezza e della grazia, attraverso un percorso fatto di pericoli e tappe spaventose. Lontano dalla sicumera dell’eroe, Schiaccianoci si muove e vince proprio grazie alle sue qualità di incompiutezza, difettosità, fragilità, goffaggine. La sua mandibola viene rotta all’inizio del racconto, elemento presente, sebbene totalmente svuotato della sua funzionalità simbolica, anche nel film di Konchalovsky. Per Hoffmann il mondo ‘giusto’ è quello del sogno. E’ la realtà a risultare rovesciata e incomprensibile.
La versione di Dumas è, più semplicemente, una bella fiaba. Non si prova, come tra le pagine di Hoffmann, inquietudine, la realtà resta ben salda al suo posto, ed è certo per questo aspetto rassicurante che il racconto di Dumas ha avuto più successo, ispirando poi il grande musicista.
Il film di Konchalovsy sembra propendere per Dumas nella prima parte, ambientata durante la vigilia di Natale, in cui predominano balletti coreografati attorno a un abete innevato e atmosfere pastello. La figura dell’ospite deforme Drosselmeyer (da Hoffmann) è sostituita da quella dell’affabile zio Albert (una sorta di buffa reincarnazione di Einstein), e lo Schiaccianoci assomiglia parecchio, nella sua versione legnoso-computerizzata, al Pinocchio disneyano. Quando però la piccola protagonista Marie entra nel mondo magico, dominato dal tirannico Re dei Topi, è tutta un’altra storia: i cieli sono cupi, coperti da una coltre di fumo nero proveniente dai giocattoli brutalmente ammucchiati in macabre montagne e poi bruciati dagli sgherri del despota in enormi fornaci. Le strade sono perennemente controllate da un esercito di orribili ratti antropomorfi in uniforme. Et voilà, dalla Vienna del 1800 si passa in piena epoca nazista. E il Re dei Topi, ça va sans dire, è Hitler.
Non solo. Per venire incontro ai gusti dei bimbi di oggi, tutti Playstation e supereroi, compaiono elementi ‘moderni’ come Bat-ratti dotati di jetpack, ferocissimi cani cyborg o motociclette dotate di pericolosi mitragliatori. Non è decisamente Lo Schiaccianoci che ricordano le nostre nonne.
“Abbiamo usato la narrazione basilare – dice il regista – per raccontare una storia nuova, introducendo elementi appassionanti che vanno al di là della fiaba originale. Ma è una storia che fa sempre riferimento agli stessi archetipi: i rapporti familiari, la solitudine che si soffre a una certa età e gli ideali dell’amore, del coraggio e dell’accettazione. Volevamo mettere su un mondo visto dagli occhi di una bambina, dove convivono realtà e fantasia. Con gli effetti digitali di oggi, l’unico limite è la tua immaginazione. Abbiamo attinto ai disegni meccanici e artistici degli anni ’20. Lo abbiamo chiamato ‘retro futurismo’, quindi i concetti non sono del tutto astratti. Ma naturalmente, scenografie e immagini sono un mezzo per raccontare una storia”.
Come si può facilmente immaginare, nel film assume un’importanza notevole anche la parte musicale, basata su movimenti di Tchaikovsky riadattati in chiave ‘cantabile’, rubacchiando dal rock e dal jazz, con effetto a tratti straniante. Potremmo al limite considerarlo parte dell’atmosfera onirica che la pellicola vuole rendere.
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