CANNES – Un film che ci porta all’origine dei bisogni umani, nell’anno zero della sua esistenza, In my Room di Ulrich Köhler, già Orso d’Argento per la miglior regia alla Berlinale del 2011 con Sleeping Sickness, e in concorso ora ad Un Certain Regard. Una storia alla fine del mondo, con protagonista un quarantenne immaturo che rifugge legami e responsabilità, sia sentimentali che lavorative, che non vive bene ma non ha voglia di rimettersi in discussione. Almeno finché gli eventi spazzano via tutti gli automatismi e i riferimenti sociali che fino a quel momento avevano guidato la sua vita. Una destabilizzazione che inizia con la perdita di una persona amata, sua nonna, fino alla perdita dell’intero genere umano. Un giorno, infatti, il protagonista Armin (Hans Löw) si sveglia e scopre che misteriosamente nulla è rimasto dell’intera popolazione terrestre, tutti gli uomini sono spariti e lui sembra essere l’unico essere umano rimasto in vita. Deve decidere cosa fare e, nell’anno zero della sua esistenza, sceglie una vita bucolica in una città deserta, con un capanno di legno, un cavallo e campi da coltivare, lontano da ogni logica materialistica e ogni sicurezza che aveva fino a quel momento caratterizzato il suo modo di vivere. “Come il personaggio principale Armin – sottolinea il regista – io e molti altri della mia generazione siamo cresciuti in un ambiente liberale, senza particolari bisogni o vincoli indotti, in un spazio di possibilità illimitato dove né la scelta della professione né la creazione di una famiglia erano considerati automatismi. Ma quando si invecchia, non tutte le porte rimangono aperte e lo spazio di possibilità si restringe rapidamente, indipendentemente dal percorso scelto”.
In questo senso il film si interroga sui vincoli della generazione contemporanea, certo diversi da quelli dei propri genitori, ma non per questo più liberi. La possibilità di creare la propria biografia da zero, alla fine, pare non corrispondere alla libertà assoluta, tanto che quando Armin incontra un altro essere umano, una donna di cui si innamora, Kirsi, il retaggio del passato e le reciproche differenze impediscono loro di ricominciare da capo. Lui è diventato il contadino sedentario pronto a creare un mondo nuovo, lei è rimasta la cacciatrice delusa e irrequieta che non crede nel futuro. “In My Room è una storia realistica con una premessa irrealistica che racconta umoristicamente l’amore degli ultimi esseri umani. La scomparsa dell’umanità è la cornice di un esperimento che esamina la contraddizione tra l’impulso alla libertà e il desiderio di sicurezza”. Si potrebbe, insomma, dire che Armin è libero perché ha il coraggio di ricominciare, e viceversa al tempo stesso definire Kirsi libera perché rifiuta la logica della situazione, in cui l’ultima donna e l’ultimo uomo che si incontrano devono creare per forza una coppia e nuova vita.
Il film ha una forte componente italiana: coprodotto dalla Echo Film di Bolzano insieme alla tedesca Pandora Film, è stato girato in parte in Alto Adige, dove sono ambientate alcune delle scene chiave, con il supporto di IDM Film Fund & Commission. Protagonista del film nei panni dell’inquieta e autonoma Kirsi è, inoltre, l’italiana Elena Radonicich.
Nel team dei selezionatori troviamo l'italiano Paolo Bertolin, già attivo come consulente della Mostra di Venezia, insieme a Anne Delseth, Claire Diao, Valentina Novati e Morgan Pokée.
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