VENEZIA – Fascino e terrore, malattia e ironia: Satana, il suo derivato – “l’essere posseduto” – e la sua conseguenza – l’esorcismo – hanno sempre sortito molteplici sentimenti nell’essere umano e nella credenza popolare, al di là della fede, delle scienze che studiano la mente, dell’immaginario cinematografico che nel tempo ha sfamato, distorto, spaventato e deriso questo tema. Succede che nel tempo presente, in grandi contesti urbani come Roma e Milano, siano stati ufficialmente istituiti dei call center a cui le persone si possono rivolgere per farsi “liberare”; poi, la Chiesa, ha dovuto prevedere corsi ufficiali di formazione per sacerdoti, obbligati dalle proprie diocesi a specializzarsi per rispondere alla crescente domanda popolare di trovare soluzione a tormenti personali che altrove – nella medicina tradizionale e in quella psichiatrica – non lasciano traccia percorribile per approdare a una diagnosi.
Federica Di Giacomo in Liberami (Orizzonti) si concentra sulla dimensione siciliana del fenomeno, questa “limitazione” territoriale fa soffrire un po’ lo spettatore per la mancanza di un confronto transregionale, nazionale, sul tema, ma l’isola, con la sua ventina di esorcisti, insieme alla Lombardia, ha sempre avuto il vanto storico di essere la Regione più aggiornata in materia. È nella contraddittoria Sicilia che si concentra infatti il racconto del documentario, con particolare luce su padre Cataldo, un anziano parroco, molto conosciuto “nell’ambiente”, che ogni martedì celebra una funzione che include la pratica dell’esorcismo, a cui prendono parte credenti, atei, “posseduti”, “liberati” e parrocchiani comuni, persone che in qualche modo, collettivamente, compartecipano al rito: la regista mostra, tra timbri di voci femminili che si distorcono a tal punto da diventare cavernosi suoni maschili, respiri ansiosi e concitati, contrazioni fisiche e movenze erotiche, aggressività fuori controllo e pianti drammatici, gli esercizi finalizzati alla “liberazione”, in cui talvolta non manca qualche dettaglio esilarante, che l’argomento porta con sé. Con le mani imposte sul capo della persona interessata, padre Cataldo e gli altri esorcisti fronteggiano “a quattr’occhi” il diavolo, con formule imperative – a volte dialoghi, quando la persona presta le sue parole al demonio – tutte atte a liberare il corpo e l’anima dal male.
“È una missione per andare in Paradiso”, secondo padre Cataldo, centro del racconto: una fatica, talvolta estenuante, quella dell’esorcista, ma a cui si presta con benevolenza per volere del Signore a cui si è votato. La contemporaneità del benessere assoluto, delle distanze abbattute, della terapia (psicologica) praticata come attività dell’agenda quotidiana dell’uomo contemporaneo, della noia che nasce per l’eccesso di possesso di “tutto”, sembra possano essere tra le cause del male interiore, o comunque non sono opportunità che coadiuvano nel toglierlo, nell’allontanarlo, nell’evitare che si radichi nel profondo dello spirito perché, che di Satana o meno si tratti, l’esorcismo pare essere una nuova frontiera dell’assistenza sociale, che abbraccia psichiatria, disagio giovanile e sociale, fascinazione per le deviazioni sataniche, per le droghe e la pratica delle messe nere. Il desiderio di liberazione è abbastanza comune tra i “posseduti”, poi ciascuno, però, nel percorso, mette in atto prassi di guerra dichiarata contro il Nero che lo abita, frequentando quindi pedissequamente messe e contesti religiosi, come a sottoporre il diavolo ad una continua provocazione che possa portarlo così allo sfinimento, oppure rimane in qualche modo egocentricamente affezionato al proprio “stato”, tanto da mantenere percezioni medianiche con il maligno. La lettura sociale, inquadrata nell’odierno, che il documentario fa, è un’interessante prospettiva per leggere il nostro tempo, in un campo molto prossimo all’irrazionale, a cavallo tra un antico passato e un assoluto presente, in cui l’uomo contemporaneo si pone al centro di un ventaglio di domande su se stesso, sulla propria e/in-voluzione e, non troppo semplicisticamente, sull’eterna lotta tra il bene e il “male”.
Sarà Microcinema a distribuire nelle sale italiane il film Leone d'Oro 2016, The woman who left, nuovo capolavoro di Lav Diaz. La pellicola, che nonostante il massimo riconoscimento al Lido non aveva ancora distribuzione e che si temeva restasse appannaggio soltanto dei cinefili che l'hanno apprezzata alla 73esima Mostra di Venezia, sarà quindi visibile a tutti, permettendo così agli spettatori del nostro Paese di ammirare per la prima volta un'opera del maestro filippino sul grande schermo
Il film di Denis Villeneuve segnalato dalla giuria di critici e giornalisti come il migliore per l'uso degli effetti speciali. Una menzione è andata a Voyage of Time di Terrence Malick per l'uso del digitale originale e privo di referenti
Il direttore della Mostra commenta i premi della 73ma edizione. In una stagione non felice per il cinema italiano, si conferma la vitalità del documentario con il premio di Orizzonti a Liberami. E sulla durata monstre del Leone d'oro The Woman Who Left: "Vorrà dire che si andrà a cercare il suo pubblico sulle piattaforme tv"
Anche se l’Italia è rimasta a bocca asciutta in termini di premi ‘grossi’, portiamo a casa con soddisfazione il premio Orizzonti a Liberami di Federica Di Giacomo, curiosa indagine antropologica sugli esorcismi nel Sud Italia. Qualcuno ha chiesto al presidente Guédiguian se per caso il fatto di non conoscere l’italiano e non aver colto tutte le sfumature grottesche del film possa aver influenzato il giudizio finale: “Ma io lo parlo l’italiano – risponde il Presidente, in italiano, e poi continua, nella sua lingua – il film è un’allegoria di quello che succede nella nostra società". Mentre su Lav Diaz dice Sam Mendes: "non abbiamo pensato alla distribuzione, solo al film. Speriamo che premiarlo contribuisca a incoraggiare il pubblico"