Leonardo Ferragamo: “Per raccontare mio padre ci voleva un genio come Guadagnino”

Leonardo Ferragamo: "Per raccontare mio padre, un genio del film come Guadagnino"


VENEZIA – Si taglia la tomaia. S’incolla il tacco. S’imprime la suola. Un processo meccanico all’apparenza, che – come mostrato dallo sguardo sofisticato e ammirato di Luca Guadagnino – assume in sé una seducente fascinazione, quasi erotica: nonostante la catena della creazione proceda sul disturbante ma necessario rumore diegetico dei macchinari, guardare il susseguirsi di istanti che determinano la nascita di un’opera d’arte, quali sono le scarpe di Salvatore Ferragamo, ha in sé la bellezza e la potenza di un parto. Senza blasfemia, s’assiste alla nascita di una creatura, seppur inanimata pur sempre un’opera del genio umano. “Il film comincia con il meccanismo della creazione della scarpa ‘Marilyn’: assistere al processo degli artigiani che ancora creano queste opere è per me come il miele per le api”, ammette, infatti, lo stesso regista, autore di Salvatore – Shoemaker of Dreams, documentario Fuori Concorso sulla biografia di Salvatore Ferragamo

Guadagnino procede con un elogio al piede, e la voce fuori campo “di Salvatore” che dice proprio: “amo i piedi”, mentre possiamo ammirarne uno bellissimo, scolpito con materiale argenteo. 

“Ho cominciato la collaborazione con Ferragamo con un fashion film nel 2013, occasione in cui avevo ricevuto il libro Il calzolaio dei sogni: autobiografia di Salvatore Ferragamo (di cui Mondadori ha curato una nuova edizione, ndr). In una conversazione con Francesco Melzi D’Eril – produttore abbiamo pensato sarebbe stato un film straordinario. Una figura titanica d’inventore, un creatore, e il documentario ci sembrava la forma più profonda per vedere i mille possibili strati della sua vita”, spiega il regista.

“È una cosa che avevamo a cuore da tempo, per far conoscere da dove fosse partita la storia incredibile di una persona che da meno di niente è riuscita a raggiungere tutti gli obiettivi. Conoscendo Guadagnino è scoccata la scintilla”, dice Giovanna Gentile Ferragamo, figlia di Salvatore, e sorella di Leonardo: “Con la mia famiglia siamo molto emozionati. Abbiamo, prima di questo film, evitato molte tentazioni ma qui s’è scelta la forma del documentario, la più vera, e non poteva che essere un genio del film come Luca Guadagnino a riuscire a renderla come doveva essere. Siamo orgogliosi. Un apprezzamento particolare va a mia madre, Wanda – a cui il film è dedicato – per aver portato sempre presente, in modo enfatizzato, l’amore per mio padre”. 

Da una deviazione irpina che porta su un’arcaica collina, Bonito (Avellino), ad un’altra collina, quella di Hollywood: Salvatore Ferragamo nasce (1898) fratello di 14 figli, in quello che lui stesso definiva un “cul-de-sac”, ma il luogo sperduto o  le discrete possibilità economiche non sono un muro per il genio, che, nel 1909, spinto da un maestro e dal farmacista del paesino natìo, dopo un po’ “di bottega” dal ciabattino del posto, si sposta a Napoli, città in cui conosce la convivenza di bellezza e povertà, per poi tornare a casa e, nel 1912, aprire il suo primo “negozio”, in un corridoio dell’abitazione di famiglia, facendosi affiancare da sei assistenti, primo gesto di quella che sarà poi – anche – una grande storia imprenditoriale, in cui il coraggio di Salvatore s’è sempre dimostrato imprescindibile.

Come necessario è stato – il coraggio – per salpare in nave dal capoluogo campano, in terza classe, con due camice, un cambio di biancheria, i calzini e qualche vivanda, alla volta dell’America, Mecca in cui – a Boston – rimane però scandalizzato dalla produzione industriale delle calzature, qualcosa per lui di inconcepibile: il modestissimo giovane uomo campano con il genio nel sangue s’iscrive ad Anatomia all’Università della California alla ricerca dell’ “equilibrio”, nella caduta verticale del peso del corpo sull’arco plantare che, da sempre, contraddistingue la calzata perfetta marchiata Ferragamo. 

Eppure, continua Guadagnino, “Ferragamo va a Hollywood quando questa sta nascendo e lui è uno dei creatori di Hollywood dal suo punto di vista. È amico di grandi Stelle, crea scarpe per contribuire alla costruzione dello star system, per cui la sua storia è anche molto la storia di Hollywood”, confermando così che in America, “non trovi te stesso, crei te stesso”, come dice Martin Scorsese, una delle personalità intervistate nel film, insieme a Deborah Nadoolman Landis, Manolo Blahnik, Christian Louboutin, tra gli altri. “Il lavoro di montaggio è stato laborioso, abbiamo fatto un’enormità di interviste, cercato materiali d’archivio esterni a quello Ferragamo. Abbiamo recuperato girati di Hollywood e cartoon, come i Super8 realizzati da Salvatore stesso: tutto era cucito nel copione di Dana Thomas (sceneggiatrice), poi ‘riscritto’ al montaggio, sontuoso, di Walter Fasano, per incrociare i due sistemi, cinema e moda, che s’incrociano perfettamente nell’intervista a Landis che ragiona sul personaggio di Gloria Swanson e la sua scarpa con il fiocco”, specifica ancora l’autore.  

È il 1923 e al numero 6687 di Hollywood Blv. a Los Angeles, nell’epoca del Proibizionismo, Salvatore apre il suo primo “Hollywood Bootshop”, iconico spazio, insieme a Palazzo Feroni Spini a Firenze, dimora tutt’ora della casa di moda Ferragamo, dopo che lo stesso patriarca sceglie di tornare nel nostro Paese: “Il ritorno in Italia di mio padre è il centro della sua storia: lui ha passato una vita con grandi visioni, senza fermarsi dinnanzi alle difficoltà. Il ritorno è stato culminante, decide di tornare perché da noi aveva conosciuto valori e competenze dell’artigianato, e su questo voleva basare il suo lavoro; ha il coraggio di abbandonare i sogni per ritrovare i valori e sceglie Firenze come epicentro. C’è un’analogia con le incertezze che stiamo vivendo adesso, ma dobbiamo fare della sua passione e della sua energia un esempio, è un passaggio sentito della sua storia”, dice – quasi commosso – Leonardo Ferragamo di suo padre, così anche pioniere del Made in Italy, che quando approda nel capoluogo fiorentino lo fa con la sua cinepresa, rinnovando quel suo destino allacciato a doppio filo con il cinema, ed è in queste sequenze, ma non solo, che il film procede anche grazie all’uso di materiale di archivi altri dal famigliare, ad esempio dell’Archivio Luce

E da qui, da Firenze, l’affitto del primo laboratorio in via Mannelli, un laboratorio in cui voleva usare un metodo, una “catena di montaggio artigianale”, quella poi capace di creare i suoi famosi 18 modelli di scarpe, tanto che “quando creava cose particolari, le brevettava”, spiega il figlio Massimo nel film, come il famosissimo “tacco a gabbia”. 

La storia di Ferragamo è epica, il film di Guadagnino gli conferisce una bellezza del dettaglio umano e estetico che amplifica l’eccezionalità di una biografia non scevra, però, da più d’un trascorso fallimentare, come quello dettato dalla storica Crisi del ’29, che lo porta a fallire nel ’33, poiché la sua clientela era prettamente statunitense, eppure un’ennesima dignità lo sostiene, fino appunto all’acquisto del Palazzo fiorentino (1938) tutt’ora sede della “Ferragamo”, di cui Salvatore ha la lungimiranza di comprendere il potere evocativo internazionale. 

Luca Guadagnino che con Salvatore – Shoemaker of Dreams celebra Salvatore Ferragamo, ne riconosce l’essere “certamente un fuoriclasse, ma anche un outsider, e mi affascina questo suo lato, perché mi considero tale”: il regista ricorda di essere alla sua “10/11esima volta a Venezia, dove mi sento a casa: sono grato al direttore Barbera, a Roberto Cicutto, per essere qui in questo anno particolare, ma ricco di cose bellissime, come mia sorella Tilda Swinton. Sono onorato di portare esperienze artistiche alla Mostra”. 

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