Girato in Italia, il film è una produzione Minerva Pictures e Rosamont in collaborazione con Rai Cinema, co-prodotto da United King Films, Topia Communication Production e Eran Riklis Production. Il progetto è stato realizzato grazie ai produttori Marica Stocchi, Gianluca Curti, Moshe Edery, Santo Versace, Michael Sharfshtein ed Eran Riklis.
Ambientati nei due decenni successivi alla rivoluzione di Khomeini, quando le strade e i campus di Teheran erano attraversati da violenze, libro e film vedono Nafisi intento a compiere una delle imprese più difficili: insegnare la letteratura occidentale a giovani sempre più influenzati dall’indottrinamento islamico. Quando il clima politico e sociale diventò troppo restrittivo, fu costretta a lasciare il suo incarico all’Università di Teheran. Decise quindi di riunire segretamente a casa sua sette studentesse impegnate per leggere insieme i classici.
Mentre i fondamentalisti prendevano il controllo del Paese, queste giovani donne si liberavano simbolicamente del velo e parlavano apertamente delle loro speranze, amori, delusioni, della loro femminilità e della ricerca di un posto in una società sempre più repressiva. Leggendo Lolita a Teheran, celebravano il potere liberatorio della letteratura in un Iran rivoluzionario e gettavano le basi per il proprio futuro.
“Il romanzo – afferma il regista – con la sua rappresentazione delle relazioni umane e delle questioni politiche e globali, mi ha toccato profondamente. Ero pienamente consapevole della complessità di raccontare una storia così intima di donne in Iran, ma sapevo anche che sarebbe stata una sfida meravigliosa ed emozionante. Ogni giorno è il momento giusto per riproporre questa storia, perché il nostro mondo sta vivendo un momento storico particolare, ma è una storia senza tempo, vera anche 10, 20,30, 100, 1000 anni fa. L’essenza parla di donne, oppressione, libertà, attraversare i confini, la letteratura. Sono temi universali. Ora è certamente più pertinente che mai, ma purtroppo lo è sempre stato e sempre lo sarà”.
Il film potrebbe avere conseguenze sul piano politico: “Mi sento così triste – dice l’autore – per la condizione vissuta da artisti iraniani che incorrono in tutti quei problemi per il fatto di esprimere le loro idee. Noi cineasti siamo molto arrabbiati, ma tutti noi viviamo in paesi liberi e dobbiamo poter dire quello che vogliamo in qualsiasi momento, senza vincoli o barriere. Che io parli di Libano, Gaza, Israele o Palestina, la vita dovrebbe essere sempre libera. Il potere dell’immaginazione è potentissimo. Mi sono affidato soprattutto a lei per questa storia, nasce da ciò che senti, dall’intuizione che hai. Conosco l’università di Teheran, anche se non l’ho mai vista. Poi verifichi, e scopri che ci hai preso”.
Molto interessante anche il lavoro sulle musiche: “Il compositore è mio figlio – afferma il regista – ci siamo detti che la musica avrebbe dovuto integrare il film e andare a volte anche contro le immagini, con radici iraniani, ma un approccio ancora una volta libero. Lui viene dal Jazz, e questo significa libertà e variazioni infinite. Ho incontrato tanti musicisti iraniani che mi hanno confermato che i punti in comune con il Jazz erano molti. Tutti noi facciamo parte di una tradizione cinematografica fin dall’inizio. A Tel Aviv avevo due professori che si odiavano: uno amava Fellini, l’altro Antonioni. Di pancia direi che preferisco Fellini, ma amo anche Antonioni. Il cinema ci mette in discussione, cercando di creare la magia. Un film che mi dispiace non aver fatto è Qualcuno volò sul nido del cuculo, un film che parla di speranza e che si è insediato nel mio cervello quando ero bambino, negli anni ’60. Mentre il mio regista preferito è decisamente Orson Welles, tutti siamo cresciuti con Quarto Potere“.
Riklis ha avuto anche esperienza dell’esercito: “Nel ’73 ero un giovane soldato, per qualche mese, sul confine egiziano – conferma – nel ’77 è successo qualcosa. Il presidente egiziano è venuto a Gerusalemme specificando che ogni vita persa in guerra era degna di rispetto. La guerra è sempre persa, i bambini senza famiglia sono tutti nostri figli, disse. Così iniziò una strada di pace e di amicizia. Oggi questo manca, mi preoccupo per tante persone attorno al mondo ma penso che in un certo momento ci voglia una persona che cambi radicalmente le cose. E succederà ancora, non so chi sia, da dove venga, ma avverrà”.
Interviene anche Azar Nafisi: “Nel vedere questo film e queste straordinarie attrici ricordo qualcosa che Henry James disse a un suo amico durante la guerra mondiale: ‘senti con il tuo cuore’. Così mi sono tenuta in vita in Iran, quando mi hanno umiliata dicendomi come dovevo vestirmi o parlare, io dicevo sempre a me stessa “senti ciò che sei”, non lasciare che loro ti dicano come devi essere. In Oriente come in Russia hanno fatto prevalere la morte, in democrazia la gente non finisce in carcere, torturata o mutilata. Ma la cosa importante è il fatto che c’è un rischio e un pericolo attuale nelle democrazie, anche negli Stati Uniti. Quello che dico nel libro è che il pericolo è l’atrofia del sentire. Il sonno delle coscienze, questo è il rischio e la minaccia maggiore per l’Occidente. Stiamo diventando indifferenti. Ci svegliamo la mattina e non pensiamo a quello che possiamo dire e fare mentre altre persone muoiono per quello che dicono. Questo è ciò che il film ci deve far sentire. Gli artisti sono qui per svegliarci, per farci porre domande, per metterci in discussione. Nel film c’erano punti di me stessa che non conoscevo e forse nemmeno mi piacevano, ma questo è quello che un buon film deve provocare. Indurre al desiderio di cambiare e far sentire, sentire, sentire“.