Parigi. Marzo. Una sofisticata ambientazione Anni ’30. Il corpo nudo e vivo di una fanciulla nemmeno ventenne viene vestito di seta e avvolto di pelliccia, da una sarta; nel contempo, altrove, presso uno studio medico, anche il commissario Maigret (Gérard Depardieu) si ri-veste: “dovrebbe andare in ferie o in pensione anticipata”, gli consiglia il dottore.
“Quando si ha la voglia di adattare un progetto come Maigret non si può immaginare di farlo se non si ha un attore in testa. E guardando il film mi chiedo chi altri, se non Depardieu, avrebbe potuto interpretarlo, perché Maigret è un personaggio imponente, voluminoso, e non parla molto, è schivo, osserva: ci sono tantissimi punti di contatto su questo registro con i comportamenti di Depardieu. Sul set sono rimasto stupito dai suoi silenzi: guarda tutto, i suoi occhi sono come raggi laser, anche in fondo al set, se qualcuno sta facendo qualcosa, lui lo vede. Lui osserva e s’interessa di tutto, si appassiona, e quando è motivato e coinvolto è davvero incredibile, anche in termini di concentrazione e disponibilità. Ci sono moltissime inquadrature nel film per cui abbiamo fatto uno, due, tre ciak al massimo. Depardieu è perfetto perché, fino all’ultimo istante, appena prima che si batta il ciak, dice un sacco di sciocchezze, battute, fa ridere tutti ma poi, quando lo chiami in scena, il tempo di battere le ciglia e diventa Maigret: è stupefacente da vedere; mi ha spiegato che il deconcentrarsi è il modo per lui di riuscire poi a concentrarsi”, spiega il regista, Patrice Leconte.
Candelabri sontuosi, macaron come fossero gioielli, calici di cristallo e lei, la fanciulla di seta avvolta, con i suoi lunghi guanti candidi che corrono lungo le braccia: è lì, nello sfavillio e nella solitudine, finché una donna in rosso non le si avvicina mossa da furia, la strattona, raggiunta e supportata da un uomo; entrambi le domandano con veemenza perché sia a quella festa, lui le allunga del denaro per farla allontanare e… poco dopo il suo corpo è riverso sul ciglio della strada, l’abito candido intriso di sangue, come fosse una sindone. Maigret arriva sul posto.
“Io volevo un’ambientazione parigina e Maigret e la giovane morta l’ho adorata come storia, mi ha davvero sconvolto: c’è una carica emotiva molto forte. Quello che mi ha veramente appassionato è che il delitto di questa giovane a Maigret – un po’ scafato, un po’ alla fine, forse stanco del suo mestiere – ridà interesse e nell’indagine il suo lavoro non è tanto nello scoprire il colpevole, ma chi sia la giovane morta. È davvero raro avere un thriller o un poliziesco in cui il commissario cerca di scoprire l’identità della vittima, di solito si cerca l’assassino. Maigret si appassiona a questa giovane morta perché lui stesso ha perso una figlia, che avrebbe la stessa età, quindi c’è un rapporto emotivo molto forte tra la vicenda e l’indagine, ed è questo che mi ha interessato, che non fosse come le altre, ma carica di emozioni e sentimenti”, continua Leconte.
È un Maigret malinconico, sfuggente con la moglie, pensieroso quando seduto sulla panchina di un parco nel mezzo dell’indagine in corso: il personaggio che Depardieu mette in scena è inoltre affaticato, nel corpo e nel respiro, eppure mosso da una pietas quasi paterna e dal desiderio di capire. In tutto ciò vive la monumentalità – artistica e fisica – dell’attore.
“Il film ha un impianto classico, l’ho fatto di proposito, ma non volevo fosse polveroso, volevo fosse molto attuale nella realizzazione ma anche molto vicino ai personaggi. Ho contattato Depardieu, con cui non ci conoscevamo, non avevamo mai lavorato insieme, e lui mi ha detto: ‘ti dico subito sì!’. E io: ‘ma come? È un’adesione molto spontanea, devi leggere la sceneggiatura’. E lui: ‘Sì, ma ti dico già sì prima ancora di leggerla perché adoro Simenon’ e il fatto di impersonare un personaggio come Maigret, grande tanto quanto lui – come quando interpreta Cyrano o Rodin, sempre personaggi della sua statura –, esattamente alla sua altezza, è quello che gli è piaciuto. Era fortemente motivato. Poi ha letto la sceneggiatura e lì mi ha manifestato anche di conoscere il mio cinema, è un cinefilo”, continua il regista.
Intanto, il film procede e la vittima non si riesce a identificare. Si sa però che era minorenne. L’assassino mancino. Lo stomaco di lei vuoto, ma aveva bevuto dell’alcol forte e aveva un filo bianco tra le unghie. L’orario presunto del decesso: tra le 22 e le 24. Maigret vuole vederla: dopodiché smette di fumare la sua iconica pipa e afferma di sentirsi “nudo” dinnanzi alla visione.
“È un film che ho sempre desiderato fosse crepuscolare: Maigret non è alla fine della sua vita ma mi piaceva fosse qualcuno che ha perso un po’ il gusto per il proprio mestiere. In questo caso lo trovo molto umano, non ha una gran voglia, inoltre gli viene imposto il divieto del fumo per la salute ma continua un po’ a bere: è il contrario di un super eroe, il contrario dei poliziotti della letteratura, di un tipo alla Sherlock Holmes: lui ha delle incertezze, avanza pieno di dubbi; questa specie di umiltà di riconoscere di non possedere la verità mi tocca profondamente, quindi il film ha un lato molto autunnale, un po’ come se fosse la sera della vita di Maigret”, spiega l’autore francese.
L’indagine, poi, porta a sapere che la fanciulla indossasse un abito di haute couture, collezione 1937, ma la biancheria intima e il rossetto nella borsetta sono annotabili come dozzinali. La sarta presso cui aveva “affittato” il capo prezioso riferisce al Commissario che la giovane non avesse denaro per permettersi il noleggio, così le aveva lasciato come caparra alcuni effetti personali.
Maigret la profila come: sola, che passava inosservata, poco incline a uscire di casa, e scopre – dalla farmacista del quartiere popolare in cui viveva, in una modesta stanzetta – che s’era recata da lei per un ansiolitico.
Louise Louviere, finalmente ecco l’identità della vittima, seppur “non esiste”, così risulta alla polizia (tranne un’omonima condannata per infanticidio alla fine del secolo scorso).
Maigret non si ferma e entra nell’abitazione che era di Louise, opaca, stinta, non “parla” molto: ma chi viveva lì prima di lei? Janine, “amica” della vittima, fidanzata con il borghese Laurent: era loro la festa a cui la fanciulla ha partecipato la notte della sua morte. “L’assassino uccide per il bisogno di affermare se stesso”, dice Maigret alla madre di Laurent (l’attrice Aurore Clemént); questo succede mentre il Commissario, nel frattempo, ha conosciuto un’altra giovane della semplice provincia e a Parigi in cerca di riscatto, interpretata dall’attrice Jade Labeste: il personaggio di Depardieu la rende sua complice per riscattare l’omicidio della povera Louise, in un gioco di trasformismo inatteso, che porta sempre più alla chiusura del cerchio dei sospettati, raggiungendo il culmine nell’irruzione – tra il poetico e l’ectoplasmico – proprio durante il banchetto di nozze di Janine e Laurent.
Leconte confida che la passione per Maigret arrivi dalla “nonna materna che ci curava, a Tours, in provincia, quando i miei genitori partivano: lei era una grande appassionata di Simenon, in particolare di Maigret. Quando finiva un libro, io lo prendevo e lo leggevo perché adoravo le descrizioni, il personaggio, però pensavo fosse una forma di letteratura semplice, non particolarmente rispettabile, ma ovviamente mi sbagliavo. Poi, all’ultimo anno di liceo, durante una lezione di Filosofia, il professore ci ha detto: ‘studieremo quest’anno Cartesio, Kierkegaard, Hegel, Kant ma per me – ha aggiunto – il più grande filosofo contemporaneo è Georges Simenon. Questa dichiarazione mi ha illuminato: da quel momento ho continuato a leggere Maigret ma soprattutto i romanzi che Simenon definiva ‘romanzi duri’, senza il personaggio del Commissario: questa lettura mi ha accompagnato tutta la vita; leggo regolarmente due o tre libri di Simenon, poi mi fermo e leggo altri autori, ma torno infine a lui, abitualmente, quindi non mi ha mai abbandonato. Poi, ho avuto voglia di ridare nobiltà a questo personaggio, facendo un film con lui protagonista”.
Maigret, in sala dal 15 settembre con Adler Entertainment, viene distribuito in circa 160 copie, cosa che Patrice Leconte commenta: “È vero, i miei film hanno spesso avuto vite straordinarie in Italia, è un Paese che amo molto, quindi sono felice dell’uscita”.
L’approfondimento video: guarda qui.
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