Lech Majewski è ossessionato dalla Divina Commedia. Tanto da averne tratto ispirazione per un film dove il simbolo e il sogno prendono il sopravvento su una realtà mostruosa, addirittura apocalittica. Stiamo parlando di Onirica Field of Dogs, terzo capitolo di un trittico dell’artista polacco composto da Il giardino delle delizie (2004) e I colori della Passione The Mill & the Cross (2011). Coprodotto da Cecchi Gori Home Video, il film, che sarà in sala il 17 aprile in circa 20 copie dopo l’anteprima al Festival di Bari, ha un andamento pittorico e un’alta densità filosofica con citazioni non solo dalle pagine dantesche (affidate alla voce dell’attore italiano Massimiliano Cutrera) ma anche da Heidegger e Seneca, compagni di viaggio di un giovane studioso di poesia, Adam, che dopo aver perso la moglie e il suo miglior amico in un incidente d’auto, abbandona l’università per inseguire le sue ossessioni e vivere con i suoi fantasmi. Lavora come cassiere in un ipermercato ed è solo al mondo, a parte una zia che cerca di riportarlo alla vita attraverso la condivisa passione culturale, ma spesso si rifugia nel sonno e nei sogni. Intanto la Polonia – siamo nel 2010 – è devastata da catastrofi naturali e tragedie politiche.
Come nasce il suo rapporto con Dante Alighieri?
Risale a molto tempo fa, all’inizio l’ho conosciuto attraverso i riflessi che ha lasciato nelle opere di altri artisti. Già da ragazzo ero affascinato e spaventato dalle illustrazioni della Divina Commedia di Gustav Doré e di Scaramuzza. Poi l’ho incontrato nelle pagine di T.S Eliot, di Ezra Pound. Dante faceva capolino lì dietro, come una figura misteriosa che getta la sua ombra attraverso i secoli. Quando finalmente l’ho letto in prima persona, in una fantastica traduzione inglese, non è stato facile, specialmente per le tante note a pie’ di pagina che però sono fondamentali. La sua è una poesia semplice che richiede un glossario, quasi una guida del telefono del Trecento.
Come si conciliano Dante e il cinema?
A 23 anni, quando stavo finendo la scuola di cinema a Lodz, decisi di dedicare la mia tesi al film che amavo da quando avevo 14 anni, 8 1/2 di Fellini, che mi aveva colpito come un viaggio astrale. Mi sono chiuso nella sala di montaggio e ci ho passato sei settimane analizzandolo fotogramma per fotogramma. Ho scritto anche un libro, intitolato Asa nisi masa, sul metalinguaggio di Fellini. Sapevo molto di quel film ma non sono riuscito a coglierne il cuore, che è quasi divino, finché non ho capito che Fellini è stato profondamente influenzato dalla Divina Commedia.
In che senso?
Come diceva il grande critico John Ruskin, Dante poneva l’uomo al centro del suo mondo. Gli artisti del passato avevano la capacità di mettersi al centro del proprio mondo e così fece Fellini e ho cercato di farlo anch’io. Anche negli altri due film del mio trittico ne parlo: Bruegel fa questo con L’ascesa al calvario e Bosch con Il giardino delle delizie, mentre oggi i registi hanno paura di parlare con la propria voce e tendono, a parte qualche eccezione, a fare un cinema impersonale. Io ormai ho appreso la lezione dai maestri del passato, che mi hanno detto di non aver paura di parlare con la mia voce.
Tra le sue fonti di ispirazione c’è anche il connazionale Kieslowski, specie per i temi religiosi toccati?
Rispetto Kieslowski ma le mie fonti d’ispirazione sotto tutte italiane, fin da quando ero giovane. Sono nato artisticamente a Venezia dove passavo lunghi periodi avendo mio zio sposato un’italiana. Ho iniziato come pittore e scrittore, ma passavo intere giornate alla Galleria dell’Accademia di fronte alla Tempesta di Giorgione che poi ho collegato a Blow up di Antonioni. Antonioni è un mio modello con Fellini e Tarkovskij, che non a caso finì la sua vita in Italia. Credo che le sue fonti fossero simili alle mie e la sua spiritualità anche.
Una spiritualità di cui il suo film è intriso e che produce nel protagonista una lotta perenne tra la fede e la disperazione. Gli esseri umani sono perfetti, Dio commette errori, si dice a un certo punto nel film. Ma chi è per lei Dio?
Parlare di Dio è impossibile. Se lo spieghi svanisce, come dice il prete confessando Adam. Dio è il mistero supremo. E’ come il sole, ci dà la vita, la possibilità di vedere, il nutrimento, ma se lo guardiamo ci brucia.
Perché ha scelto il 2010 per collocare questa vicenda se si vuole molto astratta?
Amo le cronache medievali e credo di avere un modo di rappresentare la storia che è altrettanto simbolico. Il 2010, se visto dalla prospettiva di Dante, è stato per noi un anno di terribili calamità. C’è stato un inverno rigidissimo in cui il gelo ha ucciso moltissime persone, poi ci sono state cinque l’alluvioni che hanno portato via interi villaggi, allagando cimiteri, uccidendo il bestiame e avvelenando il cibo. Dopo c’è stato il disastro aereo in cui è morto il presidente Lech Kaczyński insieme a gran parte dell’elite del paese, l’aereo presidenziale è caduto a Smolensk, tra l’altro in un luogo simbolico per la Polonia, vicino a Katyn, dove durante la seconda guerra mondiale furono uccisi tutti gli ufficiali polacchi e la nostra classe dirigente, circa ventimila persone dai russi. Un massacro di cui, durante il regime comunista, non si poteva neppure parlare. Poi al funerale di Kaczyński avrebbero dovuto partecipare più di 80 presidenti ma è arrivata la nube vulcanica dall’Islanda che ha bloccato 6.000 voli in tutta Europa. E’ vero che viviamo in un mondo in cui c’è una quantità tale di informazione che digeriamo tutto, ma immaginate se fosse stato Dante a descrivere questi eventi. Così nel film il dramma personale del mio eroe si sovrappone al dramma di un intero paese.
Se Dante fosse vivo, dove collocherebbe Giovanni Paolo II, che sta per essere santificato?
So dove collocherebbe Berlusconi e anche Putin. Non so dove metterebbe Wojtyla. Io lo amavo molto, era un poeta e un poeta che diventa santo, suona molto medievale.
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