‘Le vele scarlatte’, una fiaba moderna

Pietro Marcello porta in sala Le vele scarlatte, la sua terza opera di finzione dal romanzo di Alexander Grin


Una profezia: giungeranno un giorno le vele scarlatte a portarla via dal suo villaggio. La destinataria di questo messaggio è Juliette (Juliette Jouan), bambina/ragazza che vive nel settentrione francese col suo papà Raphaël (Raphael Thiery), che la cresce, da solo, in una dimensione agreste: lui, padre e soldato, sopravvissuto alla Prima guerra mondiale e rimasto vedovo. 

“Ho una fascinazione per la letteratura russa, possiede autori tra i più elevati”, dice Pietro Marcello de Le vele scarlatte, sua terza opera di finzione, in selezione nella Quinzaine des Réalisateurs e quindi in sala dal 12 gennaio con 01 Distribution.

Nel romanzo di Alexander Grin – da cui il film è adattato – c’è la figura del principe azzurro, “noi l’abbiamo distrutto in favore di un film moderno: una sorta di Miracolo a Milano per una comunità allargata. Credo di essermi emancipato anche io con questo film, è profondamente femmina, per l’arrivo dell’uomo moderno, anche se è in costume”.

La musica e il canto appassionano l’anima di Juliette, fanciulla solitaria, alla ricerca della magia della vita, che incontra, un’estate, quando sulla sua via dialoga con una vecchia e dolcissima maga (Yolande Moreau) dai bianchissimi, soffici e arruffati capelli, che le fa la promessa in cui lei non smetterà mai di credere: “…il re dei rospi… mi ha detto che in paese alla magia non credeva più nessuno. Non cantava più nessuno, a parte te. … Le vele sono magnifiche – le dice, restituendole la nave di legno costruita dal suo papà – Quando diventerai una bella ragazza, un giorno, vedrai in cielo delle vele scarlatte. Saranno venute per te. E volerai via con loro verso un paese lontano. Un paese magnifico. Ogni cosa che immaginiamo è possibile, piccola mia. I sogni… possono diventare realtà. Vedrai…”. 

Juliette è affamata di vita: la promettente interprete pare aver l’eco della curiosità e dell’incanto della Dorothy de Il mago di Oz (Victor Fleming, 1939), ma “mio unico riferimento per il personaggio di Juliette è stato il carattere della Juliette interprete. Il peggior provino ricevuto è stato proprio quello di Juliette, una ragazza annoiata che suonava il suo pianoforte: io sono rimasto colpito per la sua solidità e anche in scrittura l’ho riportata. Il binomio con Martin Eden, che comincia con Louise Michel, c’è quando lei finisce trasponendo L’Hirondelle: non era cosa cercata in scrittura, ma avvenuta durante la lavorazione, una predisposizione che credo di portarmi dal documentario e che spero di non perdere mai; è un po’ l’aspetto alchemico del cinema”.

“Non credo di avere modelli – prosegue Pietro Marcello – Raphael Thiery è stato scelto dopo cinque minuti, per la sua autorevolezza. Avevo bisogno di un papà solido per Juliette”. Personaggio, quest’ultimo, di cui l’interprete racconta: “È la mia prima volta al cinema, il mio primo casting. Quindi, tutto nuovo per me, un’esperienza molto formativa. Quello che Pietro chiede a ciascuno è di adattarsi alla situazione e questo emerge dalla narrazione: ci siamo sentiti completamente liberi”. Come conferma Thiery, per cui: “È stato un lavoro nuovo grazie al modo unico di lavorare di Pietro, basato sull’istinto, sulla situazione in un determinato momento, con la storia in filigrana: per Pietro, girare significa cogliere lo stato degli attori in quel momento. Con questo suo modo, la consapevolezza dell’immagine trasmette qualcosa di unico. Sempre in un clima di quiete e tranquillità, senza fatica nel trovare la direzione del personaggio”. 

L’autore piega di aver “soggiornato in Francia per due anni, per motivi famigliari. Mi è stato proposto il romanzo di Grin, autore dissidente, morto in Crimea, e sono rimasto innamorato di questa novella. Così mi sono ritrovato a Parigi a prepararlo, è stato un percorso nuovo, una vera avventura: parlavo malissimo francese”. 

Ne Le vele scarlatte – nel cast anche Louis Garrel – c’è fiaba e c’è dramma, c’è poesia narrativa e visiva – da notare, la suggestiva sequenza in cui Marcello affastella fiocchi di neve, ali di farfalla, rugiada, trucioli di legno, creati dallo scolpire del papà; come la pittorica e onirica scena in cui Juliette dialoga con “madame la pie”, la gazza, che si posa dinnanzi alla sua finestra -, e c’è tragedia, quella del suono della guerra appena alle spalle, quella del destino di orfana e vedovo, ma l’autore, con delicatissimo tocco, amalgama tutte le cromie della narrazione con sapienza, equilibrata discrezione, affascinante timidezza ma al contempo con un affondo deciso e toccante per il pubblico: “Il metodo è stato lo stesso di Martin Eden ma qui c’è stata una danza con il direttore della fotografia, Marco Graziaplena, con cui ho lavorato in stato di grazia: mi ha seguito nel contrappunto della macchina a mano, voluta per non creare un film accademico”. Prossimo lavoro L’ultimo fronte, dedicato a Stalingrado, teatro della più lunga e sanguinosa battaglia della seconda guerra mondiale. 

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10 Gennaio 2023

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