Rol. Basta un cognome, quello del sensitivo torinese Gustavo Adolfo, per portare alla mente busillis e occulto, ma anche visioni dell’universo di Federico Fellini, che non ha fatto mistero mai d’averlo frequentato e ammirato: nell’anno del centenario dalla nascita del maestro riminese (20 gennaio 1920), l’edizione di quest’anno del Torino Film Festival include una sezione con 12 titoli “a lui ispirati”: Le stanze di Rol.
Gli universi paralleli indagati da Rol sono l’essenza dei soggetti dei film selezionati – dal mondo, ma nessuno italiano -, con un nucleo che abbracci al contempo visionarietà e creazione, dunque il cuore medesimo del cinema: Le stanze del Festival non si possono limitare ad essere incasellate come un’iniziativa “di genere”, ma qualcosa di più affascinante, “dove è vietato l’ingresso esclusivamente agli scettici”, come spiega il curatore, Pier Maria Bocchi.
Ignoto, mistero, bizzarro: cosa ci sia oltre “le porte” de Le stanze di Rol è tutta una scoperta e un interrogativo, a cui talvolta la visione dei film permette di rispondere, altre solo parzialmente, o per niente, esattamente come accade in una dimensione “altra”, che però non delude, anzi stimola e crea curiosità ulteriore, che sia per l’autore, il contenuto, l’interprete.
Ma ne Le stanze – continua Bocchi – “non accade nulla di conosciuto. Il cinema che ne è la voce e lo sguardo riempie il loro perimetro in modo esclusivo. E i generi si passano il testimone”. E così s’instaura un “dialogo” tra i racconti, che sia visivo o di concetto, che accomuni o opponga, ma pur sempre continui a dibattere senza mai interrompere il fluire del mistero e dell’indagine verso “l’oltre”, e allora amore inquieto e distopia definiscono lo statunitense Funny Face di Tim Sutton ma, sempre dagli States, anche l’horror duro e puro The Dark and the Wicked di Bryan Bertino. Ne Le stanze di Rol “il genere” amplifica tutte le sue sfumature più specifiche, infatti, per Ryan Kruger si parla di “midnight movie” con Fried Barry (Sudafrica), come “slasher astratto e teorico” è Lucky di Natasha Kermani (USA). C’è l’argentina “videoarte electro-esistenziale” de El elemento enigmático/Anonymous animals di Alejandro Fadel, accanto a The Oak Room di Cody Calahan, un “imprevedibile kammerspiel” canadese, che – in fondo – non fa a pugni con il “visual essay” ungherese di The Philosophy of Horror: A Symphony of Film Theory di Péter Lichter e Bori Máté. Una selezione che si completa con Aninsri daeng / Red aninsti; or Tiptoeing on the still trembling berlin wall di Ratchapoom Boonbunchachoke (Tailandia), Antidisturbios / Riot police di Rodrigo Sorogoyen (Spagna), Breeder di Jens Dahl (Danimarca), Mom, I befriended ghosts di Sasha Voronov (Russia), Regret di Santiago Menghini (Canada).
Sono Stanze che dimostrano di non essere statiche, le nazionalità delle opere dichiarano come “il soggetto” della sezione appartenga al mondo, faccia il giro del mondo, per convergere ora a Torino: il dinamismo dei film è manifesto anche nelle declinazioni dei formati, infatti si tratta di lungo, corto e mediometraggi, come a dire che il tempo sia relativo, perché essenziale sono curiosità di visione e imprevedibilità di racconto. “Il cinema e le immagini, il più libero e le meno addomesticate, il più temerario e le più discordanti, sono un segno di vita, e per questo motivo rifiutano per natura qualunque forma di oscurantismo”, conclude il curatore.
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