Titolo appropriato – Pasolini. Il corpo e la voce – per il documentario prodotto da Rai e Teche Rai e presentato nell’ultima giornata della Festa in anteprima mondiale al Maxxi. Il lavoro di Maria Pia Ammirati, Arnaldo Colasanti e Paolo Marcellini, con la consulenza di Graziella Chiarcossi e la voce di Francesco Siciliano, ci restituisce infatti innanzitutto la presenza fisica del poeta di Casarsa nelle molte interviste conservate negli archivi Rai. Un uomo bello, gentile e malinconico, che con fermezza si oppone al primo esplodere di quella tv dei talk show che negli anni ’60 è appena agli albori (e senza le intemperanze e le liti odierne), affermando senza esitazioni che la televisione impedisce e vanifica la profondità del pensiero. Quindi è ancora il suo corpo magro e nervoso, stretto in un impermeabile scuro, che si muove tra le dune del mare di Ostia. A breve distanza da quell’Idroscalo che sarà la sua tomba il 2 novembre del 1975.
Il documentario è stato scelto dal Comitato del MIBACT, presieduto da Dacia Maraini, per le celebrazioni del 40° anniversario della morte e andrà in onda su Raiuno, a cura di Speciale TG1, il 1° novembre alle 23,30 all’interno del progetto Rai per ricordare uno dei più grandi intellettuali che l’Italia abbia avuto. Gli autori, nella scelta dei materiali, ce ne restituiscono la lucida visione delle trasformazioni in atto nell’Italia del boom, l’amore incondizionato per il sottoproletariato e il Terzo Mondo, la critica del consumismo nascente e della società di massa, la visione religiosa ed evangelica, il moralismo e la presa di distanza dalla piccola borghesia a cui pure apparteneva (non infrequenti gli accenni al difficile rapporto con il padre). Alle “idee” di Pasolini – con puntuali citazioni testuali – si alternano le “immagini” di Pasolini, e i momenti del suo cinema con le apparizioni, sul set, di Citti, Ninetto e Totò.
“Pasolini. Il corpo e la voce – dicono gli autori – è un autoritratto da cui emerge la voce contraddittoria e polemica, lo sguardo struggente e spesso umoristico di un uomo per la sua Italia amata e temuta”. Il documentario, sottolineano, si basa sulla ricerca d’archivio (radiofonico e televisivo) e sull’applicazione di elementi e strumenti interattivi che permetteranno di navigare nel film (questo nella versione in dvd) attraverso rimandi bibliografici e storici. Il materiale storico, completamente digitalizzato, è stato restaurato a cura del polo tecnologico di Rai Teche Torino.
Pasolini è schivo eppure al contempo grande comunicatore che attraversa i suoi anni lasciando preziose testimonianze del suo pensiero non solo nei testi scritti (letteratura, teatro, saggistica, interventi “corsari”) ma anche parlando con interlocutori più o meno occasionali, tra cui Enzo Biagi. C’è l’autobiografia: “Mio padre era un uomo molto diverso da me con cui ho avuto rapporti molto difficili, tipici rapporti tra padre e figlio quando questi rapporti sono drammatici” (1965); l’impegno politico e civile che ci ricorda la decisiva differenza tra sviluppo e progresso: “Lo sviluppo, almeno qui in Italia, oggi vuole la creazione, la produzione intensa, disperata, ansiosa, smaniosa di beni superflui mentre, in realtà, coloro che vogliono il progresso vorrebbero la creazione, la produzione di beni necessari” (1974); le due fasi del suo cinema: “I primi film da Accattone a Il Vangelo secondo Matteo, a La Ricotta ed Edipo Re li ho fatti sotto il segno di Gramsci e infatti mi sono illuso di fare opere nazional-popolari…ne consegue che pensavo di rivolgermi al popolo… poi c’è stata la trasformazione di questo popolo in qualcos’altro, in quello che i sociologi chiamano massa… A questo punto, in un certo senso, mi sono rifiutato, non programmaticamente, non aprioristicamente… di fare dei prodotti che siano consumabili da questa massa…e quindi ho fatto dei film d’élite, apparentemente antidemocratici, aristocratici. In realtà essendo film prodotti in polemica contro la cultura di massa, che è tirannica…sono un atto, per quanto inutile, di democrazia” (1970).
Le iniziative del quarantennale della morte naturalmente non si esauriscono qui. A presentarle, qualche giorno fa, è stato il ministro Dario Franceschini che ha voluto denunciare il “colpevole ritardo” da parte delle istituzioni. “Non hanno capito bene Pasolini quando era in vita, ora possono riconoscere il grande ruolo che ha avuto anche nella formazione di migliaia di giovani. Quando Pasolini è stato ammazzato avevo 17 anni e chi copre un ruolo come il mio deve prendersi le colpe di chi lo ha preceduto”, ha detto il ministro.
Dacia Maraini ha ricordato il suo rapporto drammatico proprio con quelle istituzioni che tentarono in tutti i modi di reprimerlo, i tanti processi a cui fu sottoposto. “Aveva uno sguardo critico sulla società italiana talmente profondo che è stato attaccato con centinaia di denunce. Pasolini metteva il dito nella piaga. E’ stato il primo a parlare del disagio culturale, pagando sulla sua pelle. Le sue contraddizioni fanno parte dell’animo umano e la sua morte misteriosa, atroce, ne ha fatto un martire”.
”La lezione più bella che Pier Paolo Pasolini mi ha dato è che lui non si è mai allineato a nulla, e dunque che non si deve mai prendere una posizione comoda: questo è molto importante per il pensiero e per ogni intellettuale”, ha detto l’attore Giuseppe Battiston, originario di quel Friuli in cui il poeta e cineasta aveva le proprie radici e che gli ha dedicato lo spettacolo Non c’è acqua più fresca, scritto assieme al cantautore Piero Sidoti. ”Con questo lavoro – ha spiegato Battiston – diamo corpo al desiderio di rendere omaggio a Pasolini attraverso la sua prima produzione poetica, facendo un percorso a ritroso nei luoghi della sua infanzia, che sono poi quelli della mia stessa giovinezza. E’ un nostro percorso molto personale che ne restituirà un’immagine inedita”.
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