In una scena del documentario sull’arte di Ryuichi Sakamoto, scomparso ieri all’età di 71 anni, il compositore giapponese arriva tra i ghiacciai del Polo Nord e suona due piccoli piatti. Il suono si propaga gentile nell’orizzonte sterminato e bianco, Sakamoto sorride: “wow”. La musica è stata per lui incontro e futuro. L’adagiarsi dei suoni nell’orchestra della natura, “tra pioggia e vento”, era incipit di ogni tensione creativa. Raccontando gli elementi che compongono un pianoforte, Sakamoto restituiva l’immagine di uno strumento simbolo di questo rapporto: “noi umani diciamo che è scordato, ma è solo la materia che ritorna al suo stato naturale”. Le macchine pressano legno e corde in una forma imposta, che tra le giuste mani, mani attente, torna alla natura.
Il dissidio degli elementi spinge la musica in direzione del futuro, il tempo di cui Sakamoto vestiva gli spartiti. “Consideriamo Beethoven molto classico”, rifletteva il compositore in una videointervista, “ma a quel tempo il pianoforte era una nuova tecnologia di cui era così entusiasta che ci scrisse 32 sonate. Se Beethoven fosse vivo ora comporrebbe una grande sinfonia in Realtà Virtuale”. Non è un caso che Sakamoto si sia lanciato nel 2021, quando già era gravemente malato, nel mondo avveniristico e incerto degli NFT, rendendo disponibile un “non fungible token” del suo brano Merry Christmas Mr. Lawrence, diviso e venduto digitalmente in singole note. Sakamoto ne era probabilmente certo: Beethoven avrebbe fatto lo stesso.
Sakamoto viveva tra queste riflessioni, applicando il rapporto tra contrasto e risoluzione, cuore pulsante della musica, al lavoro di tutti i giorni. Una praticità, anche tecnologica, che l’ha reso all’avanguardia dei suoni sin dagli anni ’80 con l’esperienza rivoluzionaria della Yellow Magic Orchestra, in rapporto con uno sguardo spesso immaginifico e rarefatto. In Async, uno dei suoi ultimi album, dedicava le sue composizioni a “un immaginario film di Andrej Tarkovskij“, mostrando per suoni scene mai esistite. Solari è un brano che richiama il film del Maestro russo e sembra espanderlo, dando ai synth e alle ricerche di elettronica l’opportunità di aggiungere uno spazio sonoro alla grandiosità di un racconto rivolto a un altro mondo. “Voglio avere spazi, non silenzio”, dichiarò in un’intervista.
Ryuichi Sakamoto: Coda, documentario presentato alla 74esima edizione del Festival di Venezia, racconta in che modo la realtà penetri nel suo lavoro. Dal ghiaccio inquinato dal cambiamento climatico alle conseguenze sociali della caduta delle torri gemelle; la musica di Sakamoto risponde agli stimoli. Come il legno del pianoforte assorbe, restituisce. E infatti è stato un compositore di musiche per il cinema tra i più abili e capaci di rispondere alle immagini, intrecciando un dialogo costante con gli eventi in scena, e persino con il pubblico.
Per Il Té nel deserto di Bernardo Bertolucci osò anticipare l’intero film nel primo tema. Una composizione malinconica, inscritta di rimorso e distanza, che delinea il percorso della storia tra viaggio, alienazione e partenze senza ritorni. È la musica a incastrare lo spettatore con i primi interrogativi. È la musica a instaurare la prima immagine del film. Accade anche in Furyo (Merry Christmas Mr. Lawrence), in cui Sakamoto recita al fianco di David Bowie, quando erano entrambi star dei reciproci paesi. Le musiche dei credits d’apertura annunciano un war movie atipico, di cui ci avvisano le prime sonorità pop con sound elettronici.
L’abbraccio di mondi distanti e inconciliabili era una poetica dalle evidenze pratiche nel lavoro di Sakamoto. Oriente e Occidente come estremità immaginarie, ma anche teatro di modelli e riferimenti che un artista, moderno come lui, non potè ignorare. Quando compose la colonna sonora de Il té nel deserto di Bertolucci ricevette una telefonata dal regista a pochi giorni dalle riprese: “non mi piace questo pezzo, Ryuichi. Cambialo subito”. Quattro ore per riscrivere un brano per un’orchestra di quaranta elementi, impossibile. “Ennio Morricone lo farebbe“, gli disse Bertolucci. E se Ennio lo può fare, pensò all’epoca il compositore, “non ho scelta”.
Con una tenacia da ricercatore, scienziato del suono con una rara sensibilità per l’incontro di arte, natura e tecnologia, Sakamoto ha composto 16 colonne sonore per il cinema, ottenendo nel 1988 l’Oscar per L’ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci. Al suo complicato sistema di valori e ambizioni, unì il processo creativo perfetto: “sono una persona spontanea, per anni non ho pensato che al giorno presente”. Il futuro, Sakamoto, lo lasciava al suono.
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