Quanto siete disposti a credere alle favole? Questo sembra voler chiedere allo spettatore Vita di Pi, il nuovo film di Ang Lee in uscita il 20 dicembre con la Fox. La pellicola è tratta da un romanzo dello scrittore canadese Yann Martel, grandissimo successo di vendite ma fino a oggi considerato ‘infilmabile’, essendo basato principalmente sulla descrizione degli stati d’animo del protagonista, naufrago in mezzo all’oceano, solo su una scialuppa con l’unica compagnia di una feroce tigre del Bengala.
Insomma, abbiamo a che fare con due imprese impossibili: una, dentro il film, incredibile parabola dello spirito (di sopravvivenza, ma non solo), dove l’uomo si trova indifeso in totale balia delle forze della natura, secondo cui ogni evento che accade – anche il più spettacolare – non può che rivelarsi come potenzialmente pericoloso e mortifero. Il salto di una balena meraviglia la vista, ma provoca onde sfrenate che sconquassano la bagnarola e gettano a mare le provviste. Mai pellicola seppe esprimere meglio il sentimento così difficile da descrivere che Immanuel Kant definì come “sublime”. E in questo senso, si tratta della prima pellicola dopo Avatar in cui il 3D non rappresenta soltanto una deriva tecnologica, ma un complemento indispensabile alla resa della narrazione, perché qui tutto ciò che è bello fa paura, e per fare paura deve risultare tangibile e aggredire chi sta seduto in poltrona.
La seconda impresa impossibile è quella di Lee: “Ho dovuto pensare a come tenere il pubblico ‘nella storia’ – ha dichiarato il regista- al cinema se rifletti troppo ti perdi, e trattandosi di un libro filosofico è stata davvero una bella sfida. Ho dovuto applicare tutta la mia fiducia nel mezzo cinema e tenere la mente aperta, perché con una mente aperta un regista può comunicare tutto ciò che vuole. Ma non potrò mai fare un film bello quanto le immagini che il pubblico stesso evoca con la propria mente”. Non si tratta soltanto di spettacolo: Vita di Pi è un film realmente interattivo, perché spinge – anzi, costringe – chi guarda a immaginare e a pensare. Con un finale – chi ha letto il libro lo conosce, agli altri lasciamo il piacere, o il dispiacere, di scoprirlo – di fronte al quale non si può più rimandare una scelta che attanaglia da secoli l’umanità: fede, o ragione? Sono entrambe buone, ma ciascuna implica rinunce forti, perfino impossibili da sopportare.
Una curiosità. Nel film è compreso il ruolo dello scrittore, a cui il protagonista racconta la sua storia che poi diventerà il libro. Per la parte era stato preso in considerazione Andrew Garfield, ma venne poi scelto Tobey Maguire. Già una coincidenza bizzarra, dato che i due attori hanno interpretato al cinema lo stesso personaggio, Spider-Man. Maguire ha poi girato tutte le sue scene con Irrfan Khan – interprete di Pi da adulto – ma alla fine della fiera Lee non si è considerato soddisfatto, perché gli pareva che la notorietà dell’attore distogliesse il pubblico dagli aspetti più importanti della storia. Per cui Maguire è stato sostituito dal meno noto Rafe Spall, con sommo disappunto di Khan che ha dovuto rifare daccapo il lavoro, non senza difficoltà: “Era come se mi chiedessero di rifare di nuovo l’amore dopo aver appena finito”, ha dichiarato.
Maguire, dal canto suo, ha preso la decisione di Lee con estrema filosofia (aiutato probabilmente da una congrua buonuscita): “Supporto la decisione di Ang di prendere una direzione completamente diversa. Lui ha condiviso con me molte delle sue idee su questo film e quello che ho visto è incredibilmente bello”.
Naturalmente, la tecnologia ha svolto un ruolo fondamentale nella realizzazione: “Tutti gli elementi – spiega il supervisore degli effetti visivi Bill Westenhofer – sconsigliavano di avvicinarsi al progetto. Già è difficile girare con un ragazzino (si riferisce all’attore Suraj Sharma, il “giovane Pi” che ha dovuto prendere 7 chili e poi perderne 17 per rispettare l’esigenza del regista di lavorare in ordine cronologico) aggiungiamoci l’idea di una tigre su una scialuppa in mezzo al mare. Praticamente un incubo. Lee ci ha chiesto un test per capire se l’effetto della tigre sarebbe stato credibile e noi ci siamo riusciti lavorando sui modelli de Le cronache di Narnia. Girare in mezzo all’oceano sarebbe stato impossibile, tutte le scene in acqua sono state realizzate in una grande vasca vicino Taiwan. Tutto il resto è digitale, ed era necessario girare direttamente in 3D perché le increspature dell’acqua e le onde danno profondità a uno sfondo che, unendo cielo e mare, rischierebbe di risultare piatto”. Il risultato è ottimo.
D’altro canto, lo diceva anche Mandela: “Sembra sempre impossibile, finché non è stato fatto”.
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