VENEZIA – È stato definito “un’autobiografia immaginaria”, descrizione che la regista e attrice Valeria Bruni Tedeschi sente calzare addosso al proprio film Fuori Concorso a Venezia, I villeggianti, in sala dal 7 marzo con Lucky Red. Una storia dal profumo cinematografico francese, in bilico tra commedia e tragedia, con le sofisticatezze di certo cinema d’Oltralpe ma anche momenti di cuore più caldamente italiani, come la sequenza in cui la stessa Bruni Tedeschi con Valeria Golino cantano piano voce e improvvisazione (apparente) Ma che freddo fa.
È un film internazionale, I villeggianti, anche per la scelta, non semplice ma riuscita, di recitare in tre lingue – francese, inglese e italiano – sfaccettature linguistiche che concorrono a raccontare la storia, una biografia familiare, il cui spunto personale non si cela, seppur poi manipolato con l’artificio magico del cinema, così da non risultare un “filmino di famiglia”, o una stucchevole narrazione autoreferenziale, bensì una vicenda che, senza conoscere la biografia della regista, si gode come fosse scritto dalla penna di un autore dalla vivace fantasia e con la sottile conoscenza dell’animo umano e delle connessioni interpersonali che questo può innescare.
“Credo sia difficile nella vita toccare la verità, grazie alla finzione si riesce più facilmente”, queste le prime parole di Valeria Bruni Tedeschi per introdurre il suo film. Sulla collocazione fuori concorso ci sono state perplessità, questione che lei ha commentato dicendo: “Penso che l’arte non sia una questione di competizione, però mi dispiace perché il Concorso mette elettricità, ma spero sia capace di metterla il film”.
La riflessione ha spontaneamente portato con sé anche quella sulla direzione al femminile, per cui la Bruni Tedeschi ha espresso un’opinione “forse scorretta, ma penso non ci debbano essere ‘quote’, non mi piacerebbe essere scelta perché sono una donna. Si debbono scegliere i film. In altri settori le quote sono molto giuste, contro l’ottusità umana soprattutto, ma non nell’arte”.
“I villeggianti prende spunto dalla realtà che elaboro cercando di toccarla un po’, ma il film non è più la mia vita. Penso che il mio modo di lavorare sia un po’ sempre lo stesso: in fondo mi sento sempre di far un’autobiografia, anche quando ho fatto un film su un reparto di psichiatria”, ha continuato Valeria Bruni Tedeschi, tra realismo ed ironia. “C’è la fase di scrittura, ma poi sul set voglio ci sia improvvisazione: a volte ci sono dialoghi che arrivano per sorpresa, che arrivano come manne dal cielo e accetto che sia così. L’aver fatto il documentario sulla mia famiglia prima (Il castello) mi ha dato il gusto di guardare quello che succede: sei osservatrice, non controlli troppo e ho cercato di mantenere anche nel film lo stesso gusto”.
Nella storia Valeria Golino interpreta la sorella della regista, dunque Carla. “Io chiedo sempre a mia sorella se vuole fare i miei film” – ha detto la Bruni Tedeschi – ma lei non vuole fare l’attrice, l’ha fatto solo con Allen, glielo domando sempre però, come rituale familiare. E comunque non potevo immaginare questo film senza Valeria Golino, e l’avrei aspettata se non avesse potuto in quel periodo. Fa parte delle attrici insostituibili, doveva essere un’interprete totalmente organica con la famiglia. La sua bellezza doveva essere mitica, insieme alla malinconia e all’ironia, impossibili da trovare altrove se non in lei”. Parole che Golino ha commentato svelando di aver “fatto partire il mio film due mesi dopo, per essere ne I villeggianti. Una sua dote: ti permette di essere al tuo peggio, per poterlo essere lei con te. È una grandissima libertà, per cui alla fine ti affidi perché sai che lei ti proteggerà. Voleva farmi un provino, io non volevo, le ho fatto una telefonata terribile: sono andata a casa sua e ho dormito. Quando mi sono svegliata c’era la produzione in casa: così l’abbiamo fatto, anche se ero arrabbiata, impreparata, e lei era così contenta… Questo significa lavorare con lei: ti permette tutto e ti chiede tutto, è un’esperienza. Mi ha fatto molto bene lavorare con lei prima di fare il mio film da regista. Valeria ha il gusto dell’incidente, tra l’altro”. Affermazione che la regista ha raccolto subito, precisando che “l’imprevisto, tecnico o emotivo, è fantastico: un lapsus di Valeria, che per altro nel film succede, è prezioso come un diamante”.
Della Bruni Tedeschi regista parla anche Riccardo Scamarcio, che nel film interpreta Luca, il suo fidanzato: “Valeria ti dà la sensazione di stare in scena con rigore verso la sceneggiatura, ma con la tranquillità di poter accogliere gli imprevisti che possono accadere, accogliere la naturalezza inaspettata (l’attore si riferisce in particolare alla scena della discussione tra loro, in cui lei l’ha coperto davvero di sputi in faccia). Abbiamo lavorato 5 giorni e ho fatto una cosa mai fatta nella mia carriera: arrivato all’aeroporto, per ben due volte, non sono partito per Parigi, non sentivo di riuscire a farlo. Alla fine è venuta lei a Roma: la mia era una forma di protezione probabilmente, perché volevo veramente fare il film, e senza saperlo mi sono comportato ‘come il personaggio’. Per Valeria è stata la conferma che fossi giusto”. La regista loda anche lui ammettendo: “trovare un attore per il ruolo di Riccardo, che compare all’inizio e poi ‘scompare’, era difficile, il suo carisma è irrinunciabile”.
Il gruppo di famiglia in esterni, perché lo spaccato si consuma principalmente tra il giardino e il mare della casa in Costa Azzurra dove il gruppo trascorre la villeggiatura, conta anche sul ruolo di Celìa, la piccola Oumy Bruni Garrel, che interpreta la parte di se stessa, la figlia di Valeria, e di cui la mamma adottiva ha “cercato di prendere la verità, lasciandola libera. Sono stata molto impressionata al montaggio: siamo rimasti allibiti dalla sua potenza, che non avevo davvero capito durante la lavorazione. Sembrava l’unico personaggio davvero adulto del film”.
Valeria Bruni Tedeschi racconta ancora una volta la sua famiglia. Sarebbe facile dire che si tratta di una fotografia dei famosi “ricchi che piangono”, ma sarebbe altrettanto una cattiveria semplicistica esaurire così la lettura del film, anche se lei con intelligente ironia commenta la cosa dicendo: “Anche i ricchi piangono sarebbe un bel titolo. Qui la sfida del film era di raccontare un microcosmo, in cui volevamo parlare di tutti i 21 personaggi, dei loro rapporti sociali, come dell’erotismo li attraversa. Fare film non è mai stata una terapia per me: non mi sento meglio di prima insomma. Questo lavoro, il cinema, mi serve come tale: quando lavoro mi sento meglio, sì, ma non mi fa una terapia della psiche. È il lavorare a essere terapeutico, ma non è un metodo che mi fa risolvere le cose”.
Il film porta e si fa portare per mano anche dalla musica, che sia repertorio, che sia in forma fisica attraverso strumenti musicali, che sia colonna originale, condizionando gli stati d’animo dei personaggi, tra cui “il fatto che mia madre suoni il pianoforte ha fatto sì che abbiamo immaginato la musica come un elemento chimico che amalgama tutto. Per la prima volta in un mio film ho usato una musica originale, di Paolo Buonvino, con cui per la creazione abbiamo sempre pensato all’idea del circo, per la ricerca del suono perfetto per la storia”, ha concluso Valeria Bruni Tedeschi.
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